Per Jeb la sofferenza elettorale non è ancora finita: deve fare i conti con Rubio (senza rimettersi a piangere)

Paola Peduzzi

    Per Jeb Bush la sofferenza non è ancora finita. Ha lasciato la campagna elettorale delle primarie dei repubblicani americani, dopo il pessimo risultato in South Carolina (che era definito “lo stato dei Bush”). Era riuscito a tirar fuori il fratello George W. dal buen retiro in cui vive dipingendo, era riuscito a mostrare proprio in quell’occasione, con l’ex presidente invecchiato di fianco, di non essere un mediocre funzionario pubblico dal cognome altisonante, ma di avere idee, retorica, persino barlumi di carisma. Nulla è bastato, nulla ha raddrizzato un’avventura elettorale scandita dall’ironia feroce di Donald Trump, dalle figuracce, dalle faide intraFlorida con l’ex amico-alleato-delfino Marco Rubio, dalla mestizia. Non sapremo mai se il punto esclamativo gioioso che accompagnava “Jeb!” dall’inizio sarebbe poi scomparso, non sapremo mai se Jeb porterà ancora gli occhiali o li abolirà (sì, se n’è discusso parecchio, quasi quanto gli stivaletti con il tacco di Rubio): ora il suo staff dice che l’ex candidato vuole prendersi una vacanza, e decidere che fare. Ma ancora non è in salvo, Jeb. Il voto in Florida, previsto per il 15 marzo, costringe Jeb a fare i conti velocemente con Rubio.

     

    I due erano amici e alleati, c’è chi dice che Jeb fosse un padre per Marco, c’è chi invece va al ribasso, si trattava “soltanto” di un’amicizia politica, ma le sfumature personali non contano granché. Jeb ha finanziato la prima campagna di Rubio, lo ha coccolato, istruito, fatto crescere, ha speso molto del suo peso politico per lui (ora sembra niente, ma la delusione non deve ingannare: è un peso enorme), e poi se l’è ritrovato di fronte, sul palcoscenico nazionale, come il primo dei nemici, a litigarsi quell’“elettorato moderato” che non prende forma. Alcuni sostengono che prima del voto in South Carolina, Jeb si fosse inacidito: parlava malissimo di Marco, a livello personale, non ne poteva più delle risatine, del fratricidio, di un duello così doloroso. Lo staff di Jeb smentisce, dice che mai, nemmeno nei momenti neri, nemmeno quando lo scontro è diventato pubblico e Jeb ha iniziato a dire che a Rubio manca l’esperienza, è un bravo ragazzo ma insomma, per fare il presidente ci vuole altro – mai Jeb ha parlato male di Rubio (sottotesto: gli vuole bene). Nell’entourage di Rubio invece la rabbia è palpabile: il 78 per cento della pubblicità negativa nei confronti di Marco è stato realizzato e finanziato da un SuperPac vicino a Bush.

     

    E’ probabile che Jeb non abbia voglia, dopo queste settimane tragiche, di parlare dell’enfant prodige che gli ha rosicchiato via consensi e credibilità. Ma tutti gli chiedono con insistenza: allora, adesso lo appoggi Rubio sì o no? Le primarie sono un gioco brutale, devi dire ogni male possibile di un candidato del tuo stesso partito, devi farlo per un tempo lunghissimo, e poi devi rimangiarti tutto, quando i giochi sono fatti, e devi riunirti come se nulla fosse successo. Ecco: a Jeb, che già è a pezzi, ora tocca rimettere insieme il suo rapporto con Rubio in un tempo record, quando in mezzo non ci sono semplicemente alcuni mesi di cattiverie, ma una storia politica comune – l’affetto. I fan di Jeb dicono che un suo endorsement farebbe un bell’effetto in una campagna elettorale con molte musiche tamarre e molte parolacce: sarebbe una prova di eleganza da parte dei moderati, un altro buon motivo per voler loro un po’ più di bene. I fan di Rubio ricordano che non è il momento dei rancori: in Florida sono in gioco 99 delegati, winner-take-all, non bisogna disperdere i voti. Ma qui non si tratta soltanto di calcoli e di riposizionamenti, si tratta di perdonare un amico, di rimangiarsi la rabbia e di dire davanti a tutti, senza mai ridere, senza mai piangere: lui è fortissimo, l’ho sempre saputo, lo voto io, votatelo tutti. Jeb non sembra rancoroso, sembra solo tristissimo: quando ha annunciato la fine della campagna, ha dovuto ricacciare indietro le lacrime. Ma insensibili i reporter hanno ricordato: si commosse anche quando Rubio divenne senatore in Florida. Disse: “Marco mi fa piangere di gioia”.

    • Paola Peduzzi
    • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi