Pierfrancesco l'autarchico

Il caso Favino conferma che lo strapaese della destra è un prodotto della sinistra

Salvatore Merlo

Il presidente della commissione Cultura della Camera Federico Mollicone, che è uomo di destra, ha subito elogiato l'attore e la sua battaglia “per combattere l’appropriazione culturale”. Sembra di sentire l’eco del fanatismo woke

Pierfrancesco Favino dice che i personaggi italiani vanno rappresentati, nei film, da attori italiani. Dunque Adam Driver, l’attore di Hollywood, non può recitare il ruolo di Enzo Ferrari perché, appunto, non è italiano  (e se per questo non è nemmeno di Modena, come Alberto Sordi non era veneziano benché nel 1958 recitasse nel ruolo del gondoliere “Bepi” e dicesse  a Marisa Allasio: Te piazo? Son degno di ti?). L’autarchico Favino ha così sturato (il verbo è dei più adeguati) un bel dibattito di quelli che si possono ascoltare nelle osterie  sui lungarni o a Lugo di Romagna o vicino al mercato di Firenze, lì dove tante brave persone si danno convegno all’ora del bicchiere per fare quattro chiacchiere in amicizia.

 

Il presidente della commissione Cultura della Camera Federico Mollicone, che è uomo di destra, ha subito elogiato Favino e la sua battaglia  “per combattere l’appropriazione culturale”. E forse pensa di essere  patriota, Mollicone. Mentre in realtà, come spesso capita ad alcuni esponenti di destra, egli sembra rivelarci quel che da tempo pensiamo: lo strapaese della destra è un prodotto della sinistra.

 

Un po’ come capita al ministro Lollobrigida quando parla di cibo, localismo  e dieta mediterranea che sono le banalità dello slow food di Carlin Petrini, dell’altermondismo di Vandana Shiva  e di tutto il lungo carrozzone della sinistra no global.  “Appropriazione culturale”, dice adesso Mollicone. E sembra di sentire l’eco di quel fanatismo woke, cioè d’una forma particolarmente acuta di stupidità, che in Olanda e in Spagna due anni fa travolse da sinistra i traduttori  dei componimenti della poetessa afroamericana Amanda Gorman: erano bianchi, non potevano mica tradurre una nera. Appropriazione culturale.

 

Víctor Obiols, traduttore catalano di Oscar Wilde e William Shakespeare, dopo essere stato licenziato commentò così:  “Se io non posso tradurre una poetessa solo perché è una donna, giovane, nera, non posso nemmeno tradurre Omero perché non sono greco o Shakespeare perché non sono inglese o del XVI secolo”. Il messaggio dell’arte è universale. E quando Carmelo Bene recitò Majakovskij a Mosca, in italiano, venne giù il teatro. Altro che appropriazione culturale.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.