Una scena di "A Stasi Comedy"

Spie e cetriolini

“A Stasi Comedy”. Uno scrittore, il passato nella Ddr e la curiosità delle ragazze

Mariarosa Mancuso

Il film scritto e diretto da Leander Haussmann la scorsa domenica ha vinto il premio del pubblico al Festival del cinema tedesco di Roma. Un racconto di infiltrati e di macchine da scrivere, di semafori e di collane di perle

Possiamo cominciare dai cetriolini Spreewald. Nel film “Good Bye, Lenin!” di Wolfgang Becker, un giovanotto che ama la madre anziana e cardiopatica – ogni emozione potrebbe essere l’ultima – non ha il coraggio di dirle che mentre lei giaceva senza conoscenza il Muro di Berlino era caduto. Fervente adepta, fin da ragazzina, della Ddr e della sua rigida organizzazione, la mamma sarebbe morta all’idea di una sola Germania, con i nemici del giorno prima. Il figlio ricrea a suo beneficio 50 metri quadrati di Germania Est. Più difficile ritrovare i cetriolini Spreewald che piacevano alla mamma. Oppure possiamo partire dai dossier della Stasi, il ministero per la Sicurezza nazionale. Con i suoi agenti (gli specialisti che in “Le vite degli altri” mettono le cimici nell’appartamento per spiare l’intellettuale) e con l’aiuto di molti cittadini, volontari o coatti, scopriva ogni cosa. Metà della popolazione – mariti, mogli, condomini, amanti – spiava l’altra metà. Dopo la caduta del Muro, ogni cittadino poteva richiedere il suo dossier, consultarlo comodamente a casa. Così comincia “A Stasi Comedy”, il film scritto e diretto da Leander Haussmann che la scorsa domenica ha vinto il premio del pubblico al Festival del cinema tedesco di Roma.

  

Timothy Garton Ash negli anni 70 era a Berlino per studiare. Ritirò il suo dossier e scoprì che quasi tutte le persone che aveva incontrato, in birreria o a letto, avevano reso alla Stasi una dettagliata testimonianza sullo straniero in visita. Lo storico però non parla di cetriolini Spreewald, che sono stati comprati per un salto familiare nel passato (“Ostalgie”, per essere precisi) in “A Stasi Comedy”. Papà, scrittore di successo, ha appena ritirato il suo dossier, moglie e figli vogliono leggerlo tutti insieme. Pessima idea: dal dossier scivola fuori una lettera d’amore, strappata e poi ricomposta con il nastro adesivo. La consorte legge qualche frase, e dice di non saperne niente, dettaglio che tutti i presenti avevano subito afferrato. Per l’imbarazzo, il capofamiglia scivola indietro nel tempo. A quando era un ragazzo, e pur in assenza di automobili il semaforo non diventava mai verde.

 

Rosso e verde lo diciamo adesso. Nel film si vede l’Ampelmann – o uomo del semaforo – disegnato nel 1961 dallo psicologo Karl Peglau su incarico di funzionari della Ddr. Omino rosso a braccia spalancate quando non si può attraversare, sagoma dell’omino con il cappello che cammina quando scatta il verde. Le intenzioni erano evitare incidenti. Ma c’era un secondo fine. Il nostro giovanotto attende e attende, anche se c’è un gattino in mezzo alla strada che rischia la morte. Finalmente diventa verde, il gattino è salvo. E noi sappiamo che il semaforo era manovrato dalla Stasi, per scegliere i cittadini ossessivamente ligi alle regole a avviarli alla carriera di spia.

 

Primo incarico, a Prenzlauer Berg. Vecchi appartamenti, qualcuno ancora con il proprietario moribondo nel letto, occupati da maschi con i capelli lunghi, belle ragazze, artisti e musicisti. Un aspirante scrittore con macchina per scrivere giallina non darà nell’occhio, quando deve compilare i rapporti. Il problema è che le ragazze, a vedere un manoscritto, hanno una gran voglia di leggerlo. Se glielo impedisci, è un guaio ancora peggiore. Al nuovo arrivato chiedono una mossa d’artista. Ma lui sa solo scrivere, e strappa la collana di perle a una ragazza. “Perle ai porci, perle ai porci” dice l’intellettuale del gruppo. Diventerà la parola d’ordine per la ribellione – l’infiltrato ancora non è stato scoperto. Finiranno per lanciare biglie di vetro dove i militari dovrebbero solennemente marciare, e finiscono stivali all’aria.

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