Dagli anni Trenta a oggi

Il Gesù di Dreyer. Voleva farne un film, ora la sua sceneggiatura è un libro

Alessandro Litta Modignani

Iperborea pubblica il testo del grande regista danese: la sua divinità è provocatoria e quasi magica nel distribuire miracoli, ma non è contemplata resurrezione. Un libro imperdibile per gli amanti del cinema e non solo

Già nel corso degli anni Trenta, il grande regista danese Carl Theodor Dreyer concepisce l’idea di un film sulla figura di Gesù. Il progetto si rafforza nel corso dell’occupazione nazista della Danimarca, con la suggestiva equiparazione fra gli antichi dominatori romani e i malvagi invasori del presente. Dreyer scrive una minuziosa sceneggiatura – poi più volte rimaneggiata – e dopo la guerra firma un contratto con il produttore americano Blevins Davis, un personaggio inaffidabile. Il regista è succube dell’impresario, la sceneggiatura resta sulla carta. Dopo sedici anni di continui rinvii, finalmente nel 1967 Dreyer si svincola e accetta l’offerta della Rai di produrre il film per la televisione italiana. Di nuovo egli lavora al testo, ma l’anno dopo muore senza essere riuscito a realizzare il suo progetto più ambizioso.

 

Ora Iperborea pubblica la sceneggiatura nella versione “lunga” del 1950 (424 pp., 19,50 euro): un libro imperdibile per gli amanti del cinema, ricco di indicazioni registiche, descrizioni sceniche, dettami su stacchi, primi piani e dissolvenze. Paragonato alle più celebri versioni di Rice-Webber, Zeffirelli e Pasolini, quello di Dreyer è soprattutto un Gesù ebreo, cioè fortemente contestualizzato nell’ebraismo del suo tempo, rispetto al quale mostra una sorta di nervosa insofferenza e un’irriducibile alterità. Il Gesù di Dreyer è provocatorio e quasi magico nel distribuire i miracoli, con grande entusiasmo del popolo e sgomento dei farisei, sconcertati dalla enigmatica ambivalenza delle sue risposte. Quando è contestato sul piano dottrinario e teologico, i toni non sono mai aspri. Le reazioni dei dottori della legge sono scettiche, increduli, solo raramente scandalizzate. Gli ebrei riconoscono in Gesù uno di loro, che agisce per il bene; i cospiratori politici invece sono irritati e delusi, perché egli non guiderà alcuna rivolta contro Roma. In più di una circostanza, Dreyer si prende delle importanti licenze drammaturgiche.

 

La figura di Maria compare una sola volta, in sinagoga. Gesù ha fatto un miracolo di sabato, i fratelli lo rimproverano di dare scandalo e di gettare il discredito sulla famiglia. Maria non comparirà più, nemmeno durante la crocefissione. La stessa Via crucis è “filmata” in solitudine, con poche eccezioni. La sceneggiatura si conclude con la morte del condannato: Dreyer non accenna neppure marginalmente a un’ipotesi di resurrezione. Inoltre, tutti i miracoli di Gesù, minuziosamente descritti, sono accompagnati da incisi di carattere medico e scientifico (o pseudo-scientifico) volti a fornire una spiegazione razionalistica e positivistica dei fatti narrati: una scelta che obiettivamente indebolisce la sceneggiatura e costituisce l’elemento più discutibile dell’opera. Obiettivo dichiarato dell’autore è di scagionare gli ebrei da qualsiasi responsabilità, diretta o indiretta, nella messa a morte di Gesù, che invece deve essere interamente intestata ai romani (esplicitamente paragonati, come abbiamo detto, ai nazisti). “Pilato: È a causa di questo…. (studia il papiro che ha in mano e continua) …Gesù di Nazareth che vi ho chiamati. Forse voi crederete che io non sappia ciò che accade in questa città, ma state pur certi che non è così. Gli uomini al mio servizio non sono né ciechi né sordi. Questo… (deve consultare ancora una volta il papiro prima di continuare) … Gesù di Nazareth è stato sorvegliato accuratamente per mesi. Niente mi è ignoto e io sono informato… di tutto (con enfasi). Quest’uomo deve essere eliminato prima della festività; non si può attendere oltre. Non intendo correre rischi. Capito?”.

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