“Jeanne Dielman, 23, quai du Commerce, 1080 Bruxelles” di Chantal Akerman, 1976 

popcorn

Per il nuovo "film migliore di sempre", Hitchcock aveva la definizione perfetta

Mariarosa Mancuso

Odiava sopra ogni cosa “i film da lavello a lavello”. Ovvero una giovane coppia squattrinata lava in fretta i piatti per correre al cinema, e sullo schermo cosa vede? Una giovane coppia squattrinata che lava i piatti. E di lavello ce n'è parecchio nel film che Sight & Sound ha messo in cima alla sua lista

Se non avete mai visto un film della regista belga Chantal Akerman – neppure “Jeanne Dielman, 23, quai du Commerce, 1080 Bruxelles” che la rivista britannica Sight & Sound ha messo in cima alla lista dei 100 migliori film di sempre – guardate su YouTube lo spezzone intitolato “Veal Cutlets”. 

    

   

La protagonista del film Delphine Seyrig, in cucina con il grembiule di cotonina, sparge la farina sul tavolo, in un piatto rompe due uova e le sbatte, in un altro piatto mette il pangrattato. Toglie due fette di vitello dalla carta oleata, ne passa una nella farina, poi nell’uovo sbattuto, poi nel pangrattato. Poi prende l’altra e ripete per filo e per segno la panatura. Finita l’operazione, pulisce il tavolo, mette le due fette di vitello impanate in un piatto (siamo di Milano, e anche più su), le copre accuratamente con un foglio d’alluminio estratto dal cassetto, già spiegazzato e tenuto da conto dopo il primo impiego.

 

Son cinque minuti di film su 200, tre ore abbondanti anche escludendo eventuali lunghissimi titoli di coda. Che non esistono, unico effetto speciale è la lacca che fissa i capelli rossi dell’attrice, sbiaditi per l’occasione e con i segni della ricrescita. Altre scene sono dedicate alla pelatura delle patate, ma poi Madame Dielman è più un tipo da toast con il thermos per qualcosa di caldo, a volte in camicetta e giacchino di lana si siede in poltrona e ascolta la musica alla radio.

 

“Tre giorni nella vita di una vedova belga”, così il New York Times comincia la sua guida, prima di andare al punto: “Probably the best known example of slow cinema”. Non è più neanche tanto conosciuto, per la verità. Ma lento è lento. Incomprensibili sono le ragioni cinematografiche che lo hanno portato al Numero Uno nella lista dei 100 film migliori di sempre, scalzando “La donna che visse due volte” di Alfred Hitchcock, campionissimo nel 2012. 

 

Per il regista, una nemesi particolarmente crudele. Credeva nei film “fetta di torta”, in opposizione alla “fetta di vita”, e odiava sopra ogni cosa “i film da lavello a lavello”. Ovvero una giovane coppia squattrinata lava in fretta i piatti nel lavello di cucina per correre al cinema, e sullo schermo cosa vede? Una giovane coppia squattrinata che lava i piatti del lavello. Nel film di Chantal Akerman, il lavello è quasi sempre alle spalle della vedova belga, oppure vediamo la schiena della vedova belga, china sul lavello (nei due casi è ben visibile il detersivo per i piatti).

 

Hitchcock e Orson Welles, che con “Quarto potere” ha tenuto la prima posizione su Sight & Sound per 50 anni, non possono replicare. Noi vivi, e ancora molto affezionati al cinema, riscontriamo il generale impazzimento verso un cinema punitivo e da sbadiglio, tra cucina e camera da letto. Le quote rosa vincono, gli spettatori perdono.