Pietro Castellitto (LaPresse)

L'esordio

Dal cinema ai libri, il talento resta cristallino: Pietro Castellitto fa ancora centro

Mariarosa Mancuso

Il piglio e la scioltezza di scrittura lasciano intendere che ce ne saranno altri. In uscita “Gli iperborei”, bello perché non somiglia a nessuno

Chi troppo e chi niente. Il talento non viene distribuito in parti uguali, nessun aggiustamento né compensazione riuscirà a rimediare. Per fortuna, così abbiamo film belli da vedere e bei libri da leggere. Vero, anche i non talentuosi si danno da fare, ma son fatiche sprecate, come il collezionismo e i modellini di barca costruiti con i fiammiferi: un’occhiata e via, in cerca di cose più interessanti. Pietro Castellitto il talento ce l’ha. È un bravissimo attore, se non andate al cinema lo avete visto nella serie Sky su Francesco Totti, “Speravo de morì prima” (se l’avete scansata “perché non gli somiglia” vi sfugge la differenza tra “recitazione” e “imitazione”). Ha scritto e diretto “I predatori”, uno dei rari film italiani provvisto di cinismo. Quindi si vede senza noia, come il cinema nostrano che fu (da “I mostri” a “C’eravamo tanto amati”, vi parevano gentili con i personaggi?). Se ne sono accorti anche alla Mostra di Venezia e ai David di Donatello, categoria regista esordiente. In “Freaks Out” di Gabriele Mainetti (nelle sale dal 28 ottobre) sarà un giovanotto che comanda gli insetti, al circo. 

 

Com'è "Gli iperborei", il primo romanzo di Pietro Castellitto

Tutto prima di compiere trent’anni. Anche il romanzo, da oggi in libreria, intitolato con sprezzo del pericolo – anche da parte dell’editore Bompiani – “Gli iperborei”. Opera prima di Pietro Castellitto: il piglio e la scioltezza di scrittura lasciano intendere che ce ne saranno altri. Gli “iperborei” come li racconta Plinio il Vecchio, rilanciato da Friedrich Nietzsche. Popolo felice che ha per casa boschi e foreste, per il naturalista. Per il filosofo, “iperborei” erano i pochi (qualcuno addirittura con ancora nato) ma eletti lettori dell’“Anticristo”.

 

Della fissazione di Pietro Castellitto per Nietzsche sapevamo da “I predatori” (c’era da riesumare la salma del filosofo, un giovane ricercatore universitario – Pietro Castellitto medesimo – smaniava per partecipare allo scavo). “Gli iperborei” inizia a bordo piscina, il protagonista e narratore viene svegliato dal robottino che pulisce la vasca. Più avanti, ha uno scatto arbasinesco, adattato ai trentenni di oggi: “Ho provato anche a vivere in affitto, ma non ne vedo il senso. Qui ho la piscina e un piano tutto mio”. Gli iperborei sono ricchi. Gente in letteratura poco amata, se non da Francis Scott Fitzgerald. Dagli scrittori italiani, solo dileggio e disonore. Vanno i precari, eventualmente i ragazzini sofferenti, le ragazzine senza casa, o trasportate da una mamma all’altra, sempre con tendenza verso il sud (commuove e si esporta meglio). Poldo e i suoi amici Stella Guenda e Tapia vanno alle feste e fanno vacanze in barca, sempre con Nietzsche dietro, in copia rilegata, da piccoli erano insieme in una recita scolastica, vestiti da animali: ancora se lo ricordano. Da sobri e da drogati, perché bisogna provare tutto, ma in fondo la normalità ha un suo fascino: “Mamma che mi carezza e le molliche sul tavolo”.

 

Redenzione e pentimento non pervenuti (è molto seccante leggere libri che raccontano vizi e stravizi, per approdare poi al momento ispirazionale: “Io ce l’ho fatta a cambiar vita, potete farcela anche voi”). Né in salute, né in malattia, né ai funerali. Leggiamo frasi da far svenire il recensore medio che cerca il messaggio, e zittiscono anche qualche recente Strega o Campiello: “Il lusso, quando accade sotto forme impreviste, conserva sempre qualcosa di sacro, qualcosa di molto simile a certe montagne innevate”. Son ragazzi che si annoiano, tentano il cinema o scrivono un romanzo intitolato “Fossili”, in copertina uno spinello nella cera. Pietro Castellitto non somiglia a nessuno, e ha fatto centro un’altra volta.

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