Agli Emmy sbancano “The Crown” e “Ted Lasso”

Mariarosa Mancuso

Nessuna rivoluzione, ma Neflix ormai ha surclassato Hbo, con 44 statuette contro 19. Premiata anche "La regina degli scacchi". La cronaca della cerimonia

Monarchia da una parte. Sani valori sportivi dall’altra, accompagnati da risate altrettanto sane (l’unica satira concessa prende di mira americani e inglesi, questione già risolta da Oscar Wilde che li considerava “popoli divisi da una lingua comune” – il Novecento non era neppure cominciato, per calcolare la modernità). La serie drammatica “The Crown” di Peter Morgan e la serie comica “Ted Lasso” di Jason Sudeikis hanno trionfato agli Emmy, domenica sera. La cerimonia si è tenuta a ranghi ridotti – i candidati inglesi partecipavano da un pub di Londra.

Non abbastanza per placare le ansie di Seth Rogen: “Mi avevano detto che sarebbe stata all’aperto”. Cedric the Entertainer, maestro di cerimonie, ha tenuto a ripetere che tutti erano vaccinati, lui con Pfizer, “perché sono snob”. Non lo hanno linciato: hanno capito la battuta (succede così di rado che diventa una notizia). La rivoluzione, parlando di temi e di storie (anche di scrittura: il personaggio di Ted Lasso ha una decina d’anni, viene da certi spot promozionali per la Nbc), è rimandata a una prossima volta. E’ già avvenuta se parliamo di piattaforme streaming contro televisione via cavo. Netflix ha vinto 44 Emmy. Hbo – che aveva avviato il nuovo corso: paghi un abbonamento e hai le serie per spettatori sofisticati – ne ha vinti solo 19


Apple Tv+ (ultima a ficcarsi nel piatto ricco) da sola ha quattro Emmy, tutti imputabili a “Ted Lasso”: commedia, Jason Sudeikis protagonista, i due attori non protagonisti Brett Goldstein e Hannah Waddingham. Per chi non avesse mai avuto il piacere: un coach americano di football va ad allenare una squadra di calcio inglese. La ricca e divorziata proprietaria del club intende così vendicarsi del marito puttaniere che teneva tantissimo alla squadra. Ma non c’è nulla che non si possa ottenere con l’impegno e la fiducia in se stessi. Un manuale per riuscire contro le avversità, sul campo di calcio e negli spogliatoi e pure nella vita con un figlio lontano e una moglie separata. Ritmato con le battute di un inguaribile ottimista. Pare una vecchia sit-com, dev’essere colpa della pandemia. Come da tutti i pronostici, “The Crown” ha trionfato come serie drammatica. 


Nella quarta stagione c’era la giovane Diana, raccontata come una vittima sacrificale (con mano non proprio leggera: lei guida verso Balmoral, la famiglia reale cerca un cervo ferito a cui dare il colpo di grazia). C’era Margaret Thatcher, ridicolizzata perché scende dall’auto in tailleur e tacchi nel vialetto fangoso. I giurati sono andati in visibilio: 11 statuette. Tra gli altri: Peter Morgan (senza il quale nulla esisterebbe), Olivia Colman, Gillian Anderson, Josh O’ Connor, Tobias Menzies. Premio per la miglior miniserie a “La regina degli scacchi”, la sfortunata e molto studiosa orfanella che batte a scacchi tutti i maschi che incontra. Anya Taylor-Joy era elegantissima e regale sul red carpet. L’Emmy è andato alla rivale Kate Winslet in “Omicidio a Easttown”: grigio, tristezza, occhiaie, e qualche rotolino in vita spianano la strada verso i premi.

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