71° Emmy Awards 2019, cast di "Game of Thrones" (Foto LaPresse)

L'Emmy a una ragazza “sporcacciona e incasinata”. E addio al #MeToo

Mariarosa Mancuso

Premiata Phoebe Waller-Bridge di “Fleabag”, oltre al solito “Trono”

"Game of Thrones” poteva portare a casa qualche premio Emmy in meno. Altri 12 quest’anno (ormai non sanno più che farne), per un’ultima stagione non esaltante. Ancora offende la scena quasi buia: lo schermo piccolo non è spettacolare quanto il grande, i direttori della fotografia vogliosi di esibire le loro doti artistiche dovrebbero restare fedeli al cinema e ai registi naturalisti come Terrence Malick. Purtroppo il successo genera successo, e i premi generano premi. Nessuno sa fermarsi, né le giurie né gli showrunner: già sono in programma un paio di prequel tronisti, tutti gli altri produttori sono a caccia del medioevo spadaccino prossimo venturo.

 

Se invece l’Emmy per la miglior serie drammatica fosse andato, poniamo, a “Succession” di Jesse Armstrong, avremmo potuto sperare in un brillante futuro da spettatori. Sempre con William Shakespeare nel cuore: bravo quanto lui non c’è nessuno, e ancora traccia la strada. Ma niente spade, niente armature, niente inverni che stanno arrivando, niente dragoni sputafuoco. Solo una famiglia ricca e potente che deve organizzare la successione – papà perde colpi, i fratelli sono coltelli – e nel frattempo vedersela con le nuove tecnologie e i nuovi consumi, la mega-azienda opera nei media.

 

La serata è iniziata con Homer Simpson presentatore, schiacciato sul palco da un pianoforte come si conviene a un fumetto (sembrava “Chi ha incastrato Roger Rabbit?” di Robert Zemeckis). E’ proseguita senza maestri di cerimonie e con il meno contestabile dei premi: un Emmy per la migliore serie comica a “Fleabag” di Phoebe Waller-Bridge (aveva contro “Veep” altra serie abbonata ai premi come l’attrice Julia Louis-Dreyfus, ma i giurati hanno scelto il nuovo). Più altri due Emmy come migliore sceneggiatrice e come migliore attrice nei siparietti che sempre comici non sono, a volte rasentano lo strazio: così vanno le cose quando una ragazza scrive magnificamente ed è spietata con se stessa. Del resto “Fleabag” sta per “sacco di pulci” (nei momenti di noia o di malinconia, rivedere le scene di corteggiamento/accerchiamento con il prete sexy – Hot Priest nell’originale – funziona meglio di qualunque rimedio conosciuto). La premiata pubblicherà da Random House un libro intitolato “Fleabag: The Scriptures” (ogni gioco di parole con le più famose “Scritture” è voluto) e figura tra gli sceneggiatori del prossimo James Bond “No Time To Die” (l’ultimo con Daniel Craig). Le donne brave sfondano. E la velocità con cui l’ex cabarettista londinese ha frantumato il soffitto di cristallo supera perfino quella di Lena Dunham ai tempi suoi, che lavorava sotto lo sguardo benevolente di Judd Apatow. Al momento del discorso, Phoebe Waller-Bridge sprizzava felicità per il premio andato a una ragazza “Dirty, pervy, angry, messed up”. Prima di applaudire, fate mente locale. E se applaudite, è l’occasione per disfarsi finalmente del #MeToo: “sporcacciona, perversa, furiosa, incasinata” sta agli antipodi del vittimismo e dell’innocenza traviata.

 

“La fantastica signora Maisel” ha avuto due Emmy per gli attori comici non protagonisti. Tony Shalhoub (il burbero genitore matematico) e Alex Borstein (l’improvvisata, mascolina e poco professionale agente) che nei ringraziamenti ha ricordato la nonna sopravvissuta all’Olocausto. A dicembre arriverà la terza stagione, mentre noi stiamo cercando di procurarci il volumetto rosa con le istruzioni di Midge per la Pasqua ebraica (omaggio per chi comprava il caffè Maxwell House).

 

Michelle Williams ha vinto come attrice protagonista di miniserie per “Fosse/Verdon” (la storia del coreografo Bob Fosse e della sua ballerina preferita, per un po’ anche moglie, Gwen Verdon). Felice anche perché era stata pagata quanto l’attore protagonista Sam Rockwell. L’Emmy per la miglior miniserie – dove drammatica è un eufemismo, trattasi di puro horror intorno a un disastro realmente accaduto – è andato a “Chernobyl” di Craig Mazin. Impeccabile da ogni punto di vista. Sconsigliato il binge watching.