Stalin è morto e la Russia non si sente tanto bene

Micol Flammini

Il film di Iannucci è stato proibito a metà nelle sale russe, le reazioni d’antan del ministero della Cultura, però, ne sembrano il sequel

“Con due nomination ai Bafta, il nostro glorioso film è sulla buona strada per ricevere più riconoscimenti di quelli esposti sull’uniforme del compagno Zhukov”. Il profilo Twitter di “The death of Stalin”, uscito in Italia con il titolo “Morto uno Stalin se ne fa un altro”, è frizzante e spiritoso, come il film. La pellicola, uscita in Gran Bretagna a ottobre dello scorso anno e nelle sale italiane a gennaio, in Russia è stata proiettata in occasione di un evento privato, riservato alle istituzioni. “Guerra ideologica” ed “estremismo” le due etichette, un po’ d’antan, che hanno impedito momentaneamente l’uscita del film nelle sale russe e con un telegramma inviato a Volga, la casa di distribuzione, il ministero della Cultura ha fatto sapere che “in futuro si deciderà se la pellicola verrà proiettata”. “Da noi non c’è censura – ha sottolineato in un altro comunicato – Dobbiamo solo fare in modo che le persone non si sentano offese“. E difatti il film alla fine è uscito, ma la proiezione è stata destinata solo alle sale cinematografiche d'essai.

 

  
Il film, diretto da Armando Iannucci, è una satira sulle lotte goffe e feroci che si sono scatenate all’interno del partito comunista dopo la morte di Stalin. In Italia ha già fatto incassare 317 mila euro dopo due settimane, ma i russi ancora non sono disposti a guardare al cinema un film sulla morte del leader sovietico e la reazione che si sta scatenando è paradossale. Si sa, la Russia ha un’incredibile storia cinematografica e il popolo ha nel sangue il senso del dramma tanto che, inconsciamente, le autorità russe stanno già scrivendo il sequel del film di Iannucci. Tra proclami e comunicati non si farebbe fatica a immaginare i funzionari del Minkult al posto di Steve Buscemi, nel film Nikita Krushev, o di Jeffrey Tambor, il pavido vicesegretario Michajl Menkov, mentre discutono se permettere o meno la proiezione. Il primo messaggio diffuso dal ministero della Cultura all’agenzia di stampa Tass diceva: “Le informazioni contenute nel film non possono essere consegnate alla distribuzione cinematografica secondo le leggi russe”. “Il film insulta i nostri simboli storici, l’inno sovietico, le medaglie”, ha detto il portavoce del ministero. “Dove finisce l’umorismo e dove inizia la beffa?”, ha commentato invece un giornalista del sito Vesti.ru. Tante le etichette russe con cui si è cercato di dare al film una definizione: “Provocazione pianificata”, “Dichiarazione di guerra psicologica”, “Insulto allo spirito russo”. Tutte dal retrogusto un po’ polverose, da politburo.

   
La cosa che più ha fatto infuriare però non è stata la ridicolizzazione di Stalin, bensì di Zhukov, il capo dell’Armata rossa ed ex ministro della Difesa rappresentato da Jason Isaacs. “Sembra un giullare”, ha commentato uno dei presenti alla proiezione, alla quale ha partecipato anche la figlia del vero Georgij Konstantinovic Zhukov, che ha mandato al ministro della Cultura Medinsky una lettera per lamentarsi del fatto che il film si prende gioco di suo padre, “un eroe che ha combattuto e vinto i nazisti”. Anche l’inno dell’Unione sovietica sarebbe stato usato in modo improprio, per sottolineare alcune scene particolarmente ridicole, secondo la commissione che ha visionato il film, tra i giurati c’era anche il regista Nikita Mikhalkov.
La casa di produzione Volga ha anche dovuto aggiungere sui cartelloni del film la scritta “commedia totalitaria in una libera interpretazione”, ma “se in una commedia viene rappresentato un capo morente in una pozza di urina, forse non si tratta solo di una commedia, ma di una provocazione studiata a tavolino”, ha dichiarato a Novaya Gazeta uno dei presenti alla proiezione per le istituzioni.

  
Armando Iannucci è un regista dissacrante che dopo aver preso in giro il governo britannico con “The Thick of it” e quello statunitense con “Veep”, ha deciso di sperimentare l’umorismo inglese sulla storia russa. Una mossa ardita che in Russia ha scatenato delle reazioni confuse.
Il profilo Twitter del film, intanto, è ancora più irriverente della pellicola. Menkov, Berija, Kruscev e Molotov sono diventati addirittura dei meme, pronti a dispensare consigli anche ai politici inglesi.