Le guerre della Russia cominciano a essere troppo costose
Il "ritiro" dalla Siria è lontano, gli scontri in Ucraina continuano e il Cremlino non ha i soldi per le nuove tecnologie militari
Roma. “Putin può votare a Sebastopoli, a Krasnoyarsk, a Mosca o in qualsiasi altro posto in Russia”, ha detto il portavoce del Cremlino Dmitri Peshkov, riferendosi alle elezioni del 18 marzo. Una frase simbolica e profondamente divisiva. Sarà la prima volta nella storia in cui la Crimea sceglierà un presidente russo. La guerra che dal 2014 prosegue in Ucraina tra le repubbliche separatiste filorusse e l’esercito di Kiev sta costando cara a Mosca che da quasi quattro anni è impegnata nel supportare le milizie di Lugansk e del Donbass. Un’impresa costosa, non compresa nei nuovi obiettivi che il programma di armamento di stato ha pubblicato per il periodo 2018-2027, che negli anni, contrariamente a quello che il panorama geopolitico potrebbe suggerire, si sta ridimensionando.
Probabilmente il 2018 si riconfermerà un anno di successi bellici, ma le forze armate russe sono a un bivio, dovuto al fatto che Mosca è impegnata su due fronti, diversi tra di loro, che la porteranno a fare delle scelte di spesa divergenti. Il tutto mentre all’orizzonte si stanno profilando tanti dilemmi e poche risorse. Se l’Ucraina è una guerra che interessa molto ai russi, ideologicamente e storicamente, il fronte siriano non gode dello stesso supporto. A dicembre, Vladimir Putin aveva dichiarato la vittoria in Siria e, rivolgendosi alle truppe nella base aerea di Khmeimim aveva detto: “La patria vi sta aspettando. Buona fortuna!”. Ma la dichiarazione del presidente russo era un messaggio elettorale. E’ improbabile che la Russia si ritiri ora dalla Siria e per continuare un conflitto che i cittadini non approvano – la nazione conserva ancora il ricordo negativo dei dieci anni passati in Afghanistan – il governo dovrà continuare a investire soldi nelle truppe di aviazione.
Le forze d’aria russe hanno fatto dei progressi importanti da quando, nel 2011, il Cremlino ha avviato una serie di riforme in campo militare, ma dimostrano di avere ancora dei forti limiti e sono obsolete rispetto a quelle sviluppate dagli Stati Uniti. La Russia dovrebbe aumentare i suoi investimenti nella ricerca, nello sviluppo di tecnologie di precisione a lungo raggio e di munizioni guidate, ma non sarà un’impresa facile. Nello sviluppo della ricerca bellica le sanzioni occidentali che stanno isolando Mosca sono un impedimento forte perché le precludono l’accesso a quella cooperazione internazionale necessaria per ottenere sviluppi tecnologici importanti. Il bilancio della Difesa è in calo dal 2015, eppure i costi crescono. Oltre ad espandere le forze di terra e di aria, la Russia si era posta l’obiettivo di armarne di nuove ed estendere le dimensioni dell’esercito, incrementandolo di 300.000 uomini entro la fine del 2017. Non si sarebbe dovuto trattare di soldati semplici, ma di militari specializzati e ben addestrati. Questo obiettivo ambizioso avrebbe richiesto un incremento annuale di almeno 50.000 militari a partire dal 2012. Il processo ha iniziato a bloccarsi l’anno scorso e, secondo uno studio del Wilson Center di Washington, il governo non riuscirà a raggiungere nemmeno la cifra meno ambiziosa di 250.000 uomini. Vladimir Putin e Valery Gerasimov, il regista della dottrina militare russa, dovranno risolvere un problema logistico. Se la Russia continuerà il suo impegno sul fronte ucraino e su quello siriano, avrà non solo delle difficoltà tecniche, ma inizieranno a mancarle anche gli uomini per portare avanti le sue missioni. Dal crollo dell’Unione sovietica, le forze militare russe non erano mai state così impegnate.
Ora, contrariamente a molti altri popoli, i russi non vogliono panem et circenses, bensì bellum et militias. Accetteranno, quindi, di spostare le spese per l’assistenza sanitaria, l’istruzione e le pensioni alla difesa militare? Se Putin conosce ancora il suo elettorato, forse sì, ma le conseguenze rischiano di essere disastrose.