(foto di Yoad Shejtman su Unsplash)

carne oppure no

Modesta proposta per le dispute sugli hamburger vegetali: diamoci tregua

Antonio Pascale

Invece di bandiere l'uso di certi termini, dovremmo prenderci del tempo per capire le abitudini degli altri. E dopo una pausa di riflessione vedere quali nuove e sintetiche parole verranno fuori

Attenzione, discussione seria: come chiamare le alette di pollo o gli hamburger vegetali? Se l’hamburger non contiene carne e le alette di pollo non contengono il povero pollo, si può commercializzare il prodotto usando il concetto di (voglio dire il richiamo alla) carne? Sembra questione peregrina ma riguarda invece l’ontologia, l’essenza, quello che è giusto e quello che è sbagliato. Voi scherzate, va bene, vi disinteressate, ma l’ardua sentenza è nelle mani dei giudici della Corte europea di giustizia, a loro volta chiamati in causa dal Consiglio di stato francese – questo perché nel 2021 la Francia ha introdotto un decreto che vieta l’uso di denominazioni con riferimenti alla “carne” per gli alimenti a base vegetale. La discussione è seria. Noi già siamo un paese che mette su delle guerre intestine e sfiancanti per la ricetta dell’amatriciana, senti quel cuoco o quella cuoca stellata, intervista la casalinga, preferibilmente nonna, di Amatrice, e insomma come si fa, da dove deriva, chi è stato il primo uomo/donna/loro/plus che l’ha inventata? Qualche estate fa venne fuori la questione tiramisù, la cui ricetta primordiale, ovvero la discussione sull’origine con tutto quello che ne consegue, fu contesa tra Friuli e Veneto. Pensate ora che va deciso se la lasagna senza carne si possa ancora chiamare lasagna vegana o, tanto per dire, si debba ribattezzare “sfoglie di pasta disposte a strati, ripiene di crema con bevanda alla soia, farcita con un sostituto vegetale del macinato”.

Capite? Le associazioni di consumatori – e anche i consumatori vegetariani e vegani – negli anni si sono battute per la trasparenza (e contro le multinazionali che hanno sempre torto), tanto da farci approdare in un futuro distopico dove le confezioni devono essere abbastanza capienti non per contenere il prodotto ma per attaccarci l’etichetta sulla quale vanno riportate (e in varie lingue, per fortuna, perché vista la formula del mondo ci avviamo in una società multietnica) tutte quelle indicazione che servono per meglio radiografare il prodotto. In primis, gli innumerevoli ingredienti, per non parlare poi di concetti quali l’origine, la lavorazione, la famigerata catena, e tantissimi altri, proprio per rispettare le sensibilità di tutti e promuovere quello che si chiama l’orientamento consapevole, così da evitare la faciloneria per colpa della quale chiamiamo qualcosa “rosa” anche se rosa non è, magari ricorda solo il rosso o sa solo di rosa. E ora vegetariani e vegani chiedono uno strappo alla regola, insomma ci dicono un po’ di milk o meat sounding non fa male a nessuno, suvvia: alette di pollo vegetariane e tanto basta, noi pure dobbiamo mangiare, rendeteci la vita meno ardua, fate in modo che il cibo sia riconoscibile, perché se lo smontate troppo finisce che diventiamo tutti consumatori molecolari, appassionati, come certi semiotici radicali alla Barthes, dei dettagli e non dell’insieme: vi prego non facciamo sparire l’autore (sempre nell’ottica delle teorie critiche).

 

Come finirà? Suggerirei una tregua per conoscerci meglio, noi umani dico, che siamo così presuntuosi ma imperfetti e deboli, che siamo diventati quello che siamo anche per un intestino più corto, dovuto a un’alimentazione carnivora e ora alcuni di noi, giustamente, pongono l’accento sul cambiamento delle abitudini alimentari ma si rendono conto che è difficile, che cioè, in quell’intestino risuonano i concetti di onnivoro e di carne e latte e sarà una lunga lotta: conosciamoci meglio, dai, facciamo la pace, non sottovalutiamo le abitudini degli altri ma anche le nostre e dopo la tregua di riflessione vediamo che nuove e sintetiche parole verranno fuori.

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