il viaggio

La complicata missione del Papa in oriente

Matteo Matzuzzi

Tra pochi giorni il primo viaggio internazionale di Leone XIV: Turchia e Libano. Non proprio un debutto banale. Intanto perché sarà la sua prima volta all’estero da vescovo di Roma, poi perché non sarà un battesimo soft: la Turchia, sotto il dominio di Recep Tayyip Erdogan, ha rappresentato per tutti i Papi uno scoglio non facilmente superabile

Roma. E’ un viaggio ereditato dal predecessore, quello che il Papa comincerà giovedì prossimo, quando di primo mattino decollerà alla volta di Ankara, prima tappa di una “missione” che si concluderà a Beirut, il 2 dicembre. Fino all’ultimo, Francesco cercò di mantenere in agenda la celebrazione del settecentesimo anniversario del Primo Concilio di Nicea e anche quando era ricoverato al Gemelli, soprattutto da fonti del Patriarcato di Costantinopoli, si faceva sapere che la preghiera comune si sarebbe svolta. Leone XIV ha confermato quanto era nelle intenzioni del Pontefice argentino, inserendo la tappa ecumenica in un programma più ampio e complesso che, dopo tre giorni e mezzo passati in Turchia, lo porterà in Libano. Il tutto in un incrocio di momenti spirituali, diplomatici e politici. Non sarà un viaggio banale, il primo di Robert Prevost: intanto perché sarà appunto la sua prima volta all’estero da vescovo di Roma, poi perché non sarà un battesimo soft: la Turchia, sotto il dominio di Recep Tayyip Erdogan, ha rappresentato per tutti i Papi uno scoglio non facilmente superabile. Benedetto XVI vi si recò due mesi dopo l’incidente di Ratisbona, nel 2006. 

 

Scrisse il cardinale Roger Etchegaray: “Raramente un viaggio papale è stato così seguìto, osservato e commentato come quello di Benedetto XVI in Turchia. Sono stati messi a fuoco tanto il paese visitato quanto il visitatore ospitato, perché entrambi erano al centro di una vivida attualità di interesse generale: l’uno alla vigilia di un nuovo verdetto della Comunità europea, l’altro all’indomani di un discorso dalle ricadute islamiche”. Andò bene, anche se il biasimo per il discorso tenuto dal papa nell’Università tedesca non fu tacitato dalla preghiera silenziosa davanti al mihrab nella Moschea blu: il presidente dell’Ufficio per gli affari religiosi, Ali Bardakoglu, definì la lezione di Ratzinger un intervento “provocatorio, ostile, pregiudiziale”. Nel 2014, sempre a novembre, in Turchia si recò anche Francesco, ma l’incidente con Erdogan avvenne pochi mesi dopo, quando il Pontefice accennò in un’omelia al genocidio degli armeni. Ankara convocò il nunzio, richiamò il proprio ambasciatore e definì Bergoglio “un uomo che distorce la storia”. Il successore di Bardakoglu, Mehmet Görmez, arrivò a sostenere che le parole del Papa erano “immorali” e non collimanti con “i valori del cristianesimo”. Successive incomprensioni riguardarono le politiche nel vicino oriente segnate dalla dottrina neo ottomana cara al governo turco e sul destino di Santa Sofia, riconvertita al culto islamico: “Penso a Istanbul, penso a Santa Sofia. E sono addolorato”, disse Francesco al termine di un Angelus nel 2020. Insomma, i precedenti, quantomeno sul piano meramente geopolitico, fanno comprendere quanto delicata sia – sulla carta – la missione di Leone XIV. 

 

Il programma è stato studiato in modo da eliminare già in partenza possibili incidenti politici e religiosi e se il primo giorno è dedicato agli incontri con le autorità civili e diplomatiche – con immancabile visita al mausoleo di Atatürk – il secondo giorno, venerdì, sarà dedicato alla parte più propriamente religiosa: l’incontro con i religiosi e i vescovi, la visita a una casa di accoglienza per anziani, quindi nel pomeriggio l’incontro ecumenico di preghiera a Iznik,  Nicea. Il dialogo ecumenico e interreligioso dominerà la giornata di sabato, vigilia di Sant’Andrea, patrono della Chiesa ortodossa di Costantinopoli: al mattino breve visita alla moschea Sultan Ahmet, quindi incontro con i capi delle Chiese e delle comunità cristiane presso la Chiesa ortodossa siriaca di Mor Ephrem. Nel primo pomeriggio, doxologia nella chiesa patriarcale di San Giorgio e incontro con Bartolomeo I. Sarà firmata una Dichiarazione congiunta. Nel tardo pomeriggio, la messa. Domenica 30 novembre, il Papa si recherà alla cattedrale armena apostolica, parteciperà alla Divina liturgia nella Chiesa di san Giorgio e alle 12.30 è in programma la Benedizione ecumenica. Quindi, la partenza per Beirut, seconda tappa del viaggio. Anche qui, incontri con le autorità prima di recarsi (lunedì 1° dicembre) sulla tomba di San Charbel Makluf nel monastero di San Maroun ad Annaya, incontrare i religiosi e gli operatori pastorali nel Santuario di Nostra Signora a Harissa e i patriarchi cattolici. Momenti culminanti saranno l’incontro ecumenico e interreligioso nella piazza dei Martiri di Beirut, l’incontro con i giovani, la preghiera silenziosa al porto (teatro della violenta esplosione del 2020), la messa. In sintesi, Leone XIV terrà nove discorsi, cinque saluti  e celebrerà due messe.

 

Mai come stavolta il piano spirituale si interseca con quello politico. Anche sul fronte ecumenico: considerata la frattura profonda in seno all’ortodossia (Mosca e Costantinopoli ai ferri corti, con l’Ucraina in mezzo), quali sviluppi potrà avere nel dialogo con la Chiesa russa – ammesso che un dialogo vero e serio ci sia – la prevedibile vicinanza di Leone con Bartolomeo I? Kirill userà la Dichiarazione congiunta come ulteriore pretesto per dare corda alla robusta componente nazionalista e antiromana del proprio clero, quello dei monasteri? Sul piano interreligioso, poi, quali parole userà Prevost con il mondo sunnita, interlocutore assai sfumato in questi primi sei mesi di pontificato? L’attesa è poi per quanto dirà in Libano, ai confini di Israele: finora il Papa ha cercato di mantenersi in equilibrio, condannando quando c’era da condannare (il raid deliberato contro il complesso parrocchiale della Sacra Famiglia a Gaza City) ma senza mai usare termini che avrebbero danneggiato il dialogo con Israele e con il mondo ebraico. Si vedrà come, tale equilibrio, potrà essere mantenuto a un tiro di schioppo da Tel Aviv e non troppo lontano dalla Striscia.

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