Anche Bartolomeo I finisce nel mirino di Erdogan
Roma. Alla fine, tra le migliaia di presunti sostenitori del golpe contro Recep Tayyip Erdogan dello scorso luglio, tra giornalisti, militari, giudici e professori universitari, ci sarebbe anche il Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I. E’ la prima volta che, dalla notte in cui per qualche ora la leadership di Erdogan era sembrata in pericolo, la stampa turca prende di mira Bartolomeo. Il primato va al quotidiano Aksam, che nei giorni scorsi ha dato conto del presunto coinvolgimento del religioso in un articolo di prima pagina, senza risparmiare dettagli e particolari, con corredo fotografico ritraente insieme Bartolomeo e Fethullah Gülen. Foto risalenti però agli anni Novanta, quando il predicatore non si era ancora ritirato nei boschi della Pennsylvania e di Erdogan era ancora grande amico e consigliere. Aksam parla di una sorta di triade che avrebbe cospirato contro il legittimo governo: Gülen, la Cia e il Patriarcato. La ragione del coinvolgimento di quest’ultimo sarebbe da riscontrare nel riavvicinamento tra Ankara e Mosca, e – di conseguenza – tra la Turchia e il Patriarcato ortodosso russo guidato da Kirill, in rapporti freddi (eufemismo) con Bartolomeo. Il problema è che il cuore della ricostruzione del quotidiano poggia su un dossier attribuito all’ex ambasciatore americano in Yemen, Arthur Hughes, in cui si dava conto del rapporto stretto e continuo tra Gülen e Bartolomeo, che è risultato essere un falso. Lo ha dichiarato lo stesso diplomatico di Washington, che ha ottenuto la rimozione dell’articolo dal web.
Al di là dei contenuti veri o presunti del dossier, ciò che rileva è che a finire nel mirino del repulisti erdoganiano è pure il Patriarcato di Costantinopoli, che pure s’era mostrato assai prudente – per qualcuno fin troppo – nelle settimane successive al mancato golpe. Non una parola fuori dalle righe, semmai tanta solidarietà ufficialmente espressa al governo. All’indomani del ritorno trionfale di Erdogan a Istanbul, tra ali di folla osannanti, nel documento diffuso dai leader religiosi locali in cui si sottolineava “la profonda tristezza dovuta agli incidenti di terrore che hanno disturbato la pace nella nostra bellissima nazione e nel mondo”, c’era anche la firma di Bartolomeo. Non è bastato. Secondo diversi osservatori, le autorità hanno colto la palla al balzo per mandare un messaggio chiaro a uno dei vertici religiosi del paese che godono di maggior prestigio all’estero. Con una postilla diretta anche alla Santa Sede, con la quale le relazioni sono tormentate da più d’un anno, da quando cioè il Papa in San Pietro parlò del genocidio armeno compiuto dall’Impero ottomano in disfacimento (concetto ribadito a giugno durante il viaggio in Armenia). Proprio nei mesi scorsi, ben prima del golpe tentato e fallito, sempre Aksam dava conto delle chiese finanziate in territorio americano da Gülen, operazione che – si leggeva nell’articolo di allora – di certo “ha fatto piacere in Vaticano”. Così come avrebbe fatto piacere, secondo le stesse fonti, l’accordo stretto tra l’Università di Lovanio e il predicatore rifugiato in Pennsylvania per formare in Belgio imam da sostituire a quelli lì spediti da Ankara. Circostanza che l’ateneo cattolico ha smentito. A giustificazione delle teorie complottiste e dell’alleanza tra la chiesa e il cosiddetto “parastato”, veniva citato perfino Giovanni Paolo II, reo d’aver incontrato Gülen quasi vent’anni fa, nel 1998.
Dal Fanar, sede del Patriarcato, si “deplorano” intanto le “false accuse”. Una nota firmata dal responsabile delle relazioni con la stampa, il protopresbitero Dositheos Agnostpoulos, smentisce ogni coinvolgimento, e fonti dello stesso Patriarcato osservano all’agenzia Fides che tutto pare essere un’operazione architettata per mettere in difficoltà Bartolomeo, che per ora continua a mantenere una posizione defilata, agendo di diplomazia. Con la mente proiettata in avanti, conscio che per operare, al suo successore – chiunque sarà – dovrà necessariamente essere concessa la cittadinanza turca. Cosa, a oggi, tutt’altro che scontata.
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