Francesco tornerà nel Caucaso a fine settembre, quando visiterà Georgia e Azerbiaigian (LaPresse)

Il Papa davanti al Memoriale del genocidio armeno: "Mai più tragedie come questa"

Matteo Matzuzzi
Proseuge la visita di Francesco in Armenia. Ieri, ha rievocato il genocidio che un secolo fa portò alla quasi totale scomparsa dell'antica comunità armena nella Turchia ottomana.

Il primo impegno del Papa, alla sua seconda giornata in Armenia (il ritorno a Roma è previsto per domani in serata), è stato a Tzitzernakaberd, al Complesso dedicato alla memoria delle vittime del Metz Yeghérn, il ‘Grande male’ che comportò l’eccidio della comunità armena presente nella Turchia ottomana, un secolo fa. Francesco ha deposto una corona di fiori, soffermandosi in raccoglimento. Quindi, sceso nella “camera della fiamma perenne”, ha deposto una rosa bianca e pregato in silenzio. Tutti i presenti, ciascuno nella propria lingua, ha recitato il Padre Nostro. Nel Libro degli ospiti, il Pontefice ha lasciato un breve messaggio: "Qui prego, col dolore nel cuore, perché mai più vi siano tragedie come questa, perché l’umanità non dimentichi e sappia vincere con il bene il male; Dio conceda all’amato popolo armeno e al mondo intero pace e consolazione. Dio custodisca la memoria del popolo armeno. La memoria non va annacquata né dimenticata; la memoria è fonte di pace e di futuro”.

 

Dopo l’incontro con alcuni discendenti di perseguitati armeni, il Papa si è recato a Gyumri, dove ha celebrato la messa. Nell’omelia, Francesco si è soffermato sulla memoria, una delle “tre basi stabili su cui possiamo edificare e riedificare la vita cristiana, senza stancarci” (le altre due sono la fede e l’amore misericordioso). “La memoria del vostro popolo – ha detto – è molto antica e preziosa. Nelle vostre voci risuonano quelle dei sapienti santi del passato; nelle vostre parole c’è l’eco di chi ha creato il vostro alfabeto allo scopo di annunciare la Parola di Dio; nei vostri canti si fondono i gemiti e le gioie della vostra storia. Pensando a tutto questo potete riconoscere certamente la presenza di Dio: Egli non vi ha lasciati soli. Anche fra tremende avversità, potremmo dire con il Vangelo di oggi, il Signore ha visitato il vostro popolo: si è ricordato della vostra fedeltà al Vangelo, della primizia della vostra fede, di tutti coloro che hanno testimoniato, anche a costo del sangue, che l’amore di Dio vale più della vita. E’ bello per voi poter ricordare con gratitudine che la fede cristiana è diventata il respiro del vostro popolo e il cuore della sua memoria”.

 


 

Il Papa durante la visita alla cattedrale apostolica di Etchmiadzin (LaPresse)

 


 

Rivolgendosi ieri al Corpo diplomatico e alle autorità locali, in quello che è stato il suo secondo discorso in terra armena, il Papa a sorpresa ha usato la parola “genocidio”, non presente nei testi preparati in precedenza, per riferirsi al massacro del 1915. “…Si è fatta memoria del centenario del Metz Yeghérn, il ‘Grande Male’, che colpì il vostro popolo e causò la morte di un’enorme moltitudine di persone. Quella tragedia, quel genocidio, inaugurò purtroppo il triste elenco delle immani catastrofi del secolo scorso, rese possibili da aberranti motivazioni razziali, ideologiche o religiose, che ottenebrarono la mente dei carnefici fino al punto di prefiggersi l’intento di annientare interi popoli”, ha detto Francesco. Nella successiva conferenza stampa con i giornalisti, Padre Federico Lombardi ha spiegato che il Pontefice “questa volta ha deciso non solo di citare ma di usare autonomamente la parola considerando che nel suo discorso descriveva la situazione e non c’era ragione per non usare questa parola, dopo la valutazione che ha fatto”. Pochi se l’attendevano, anche in considerazione di quanto Francesco aveva detto solo una settimana fa durante la sua visita a Villa Nazareth, sottolineando come l’uso della parola “genocidio” in riferimento alla persecuzione attuale dei cristiani nel vicino e medio oriente fosse limitante, significasse fare “riduzionismo sociologico”. Semmai, sarebbe più opportuno parlare di “martirio” per ragioni di fede. Il che non pare certo essere una attenuazione della portata di quanto sta accadendo alle comunità cristiane piegate dall’orda jihadista.

 


 

In mattinata, il Pontefice ha visitato il Memoriale del "Grande Male", il massacro del 1915 (LaPresse)

 


 

In realtà il Papa aveva già parlato di “genocidio” a proposito della persecuzione del 1915. Il 12 aprile di un anno fa, nel saluto rivolto ai partecipanti alla messa per i fedeli di rito armeno, Francesco citò un passaggio della Dichiarazione comune di Etchmiadzin (27 settembre 2001) firmata da Giovanni Paolo II e Karekin II in cui si affermava che – per l’appunto – la “grande prima grande tragedia inaudita” vissuta dall’umanità nel secolo scorso poteva essere considerato come “il primo genocidio del Ventesimo secolo”. La reazione del governo turco fu immediata e durissima: fu richiamato in patria l’ambasciatore, il presidente Recep Tayyip Erdogan inviò messaggi minacciosi al Papa, dicendosi deluso anche “da un punto di vista umano”. Solo una paziente opera di ricucitura, condotta attraverso i buoni uffici della Segreteria di stato, ha permesso di allentare la tensione che – per Ankara – è determinata essenzialmente dall’uso della parola “genocidio”. Al momento, dal governo turco non sono giunte particolari reazioni al discorso di ieri del Pontefice – soprattutto sull’aggiunta a braccio – il che potrebbe anche significare la volontà di derubricare l’episodio a fatto di importanza ridotta.

 

Francesco tornerà nel Caucaso il prossimo fine settembre, quando si recherà in vista in Georgia e Azerbaigian. Il desiderio originario era quello di unire queste due tappe a quella in Armenia, ma per questioni diplomatiche e geopolitiche (pesa la ventennale contesa tra armeni e azeri dell'enclave del Nagorno-Karabakah).

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.