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Una certezza c'è: sulla Cina, Leone XIV è in piena continuità con Francesco
Nei giorni scorsi la Sala stampa vaticana ha dato conto della decisione del Papa di sopprimere, nella Cina continentale, le diocesi di Xuanhua e di Xiwanzi e di erigere contestualmente la nuova diocesi di Zhangjiakou
La scelta relativa alla diocesi di Zhangjiakou appare la conferma di un percorso irreversibile verso l’unione della Chiesa cinese attraverso la progressiva messa a riposo dei vescovi “clandestini”, coloro che hanno sempre rifiutato di uniformarsi ai diktat del Partito
Nei giorni scorsi la Sala stampa vaticana ha dato conto della decisione del Papa di sopprimere, nella Cina continentale, le diocesi di Xuanhua e di Xiwanzi, entrambe erette nel 1946 da Pio XII, e di erigere contestualmente la nuova diocesi di Zhangjiakou, suffraganea di Pechino. “In questo modo, il territorio della diocesi di Zhangjiakou è conforme a quello della città capoluogo”, si legge nel comunicato. Parimenti, il 10 settembre scorso ha avuto luogo l’ordinazione episcopale del sacerdote Giuseppe Wang Zhengui, “che il Santo Padre, in data 8 luglio, ha nominato vescovo di Zhangjiakou, avendone approvato la candidatura nel quadro dell’Accordo provvisorio tra la Santa Sede e la Repubblica popolare cinese”. Il tutto, ha spiegato il Vaticano, “nel desiderio di promuovere la cura pastorale del gregge del Signore e per attendere più efficacemente al suo bene spirituale”. Il primo dato che rileva è la conferma della linea tracciata dal 2018, quando fu annunciato l’accordo provvisorio e segreto fra Roma e Pechino relativo alla nomina dei vescovi nella Cina metropolitana. I termini del patto – da allora rinnovato più volte – restano ignoti, ma è risaputo che si basa su una sorta di cooperazione fra le Parti circa la scelta dei presuli da destinare alle diocesi cinesi. Lo stesso comunicato diffuso mercoledì lo conferma: il Papa ha nominato il vescovo dopo averne approvato la candidatura, evidentemente proposta da Pechino. Le autorità cinesi hanno sempre chiesto che la conformazione delle diocesi seguisse i confini amministrativi – era anche un desiderio di Benito Mussolini per l’Italia, senza successo – e negli anni la Santa Sede ha in più di una circostanza accettato le richieste cinesi. Il 29 gennaio del 2024, ad esempio, Papa Francesco soppresse la Prefettura apostolica di Yiduxian (eretta da Pio XI nel 1931) ed eresse la nuova diocesi di Weifang, nominandone il primo vescovo. Per cui, nulla di nuovo: le diocesi cinesi risalgono, nella loro conformazione, a prima della rivoluzione maoista. Il vescovo uscente di Xuanhua, mons. Agostino Cui Tai, settantacinquenne mai riconosciuto dalle autorità comuniste perché si è sempre rifiutato di aderire all’Associazione patriottica, diventa vescovo emerito e lo status gli è stato riconosciuto da Pechino. Per anni, mons. Cui Tai veniva arrestato e rilasciato per brevi periodi. Nessun processo è mai stato intentato nei suoi confronti, semplicemente non era gradita la sua mancata adesione agli organismi controllati dal Partito. Ironia della sorte, l’ordinazione episcopale del suo successore, mons. Wang Zhengui, è stata presieduta dall’attuale presidente dell’Associazione patriottica, il vescovo di Pechino Li Shan. Sorte migliore è toccata all’altro vescovo della diocesi soppressa, mons. Giuseppe Ma Yanen, nominato vescovo ausiliare di Zhangjiakou. “Si apprende con soddisfazione che oggi, in occasione della presa di possesso dell’ufficio di vescovo ausiliare di Zhangjiakou da parte di S. E. mons. Giuseppe Ma Yanen, il suo ministero episcopale viene riconosciuto anche agli effetti dell’ordinamento civile”, si legge in una dichiarazione diffusa ieri dal direttore della Sala stampa vaticana, Matteo Bruni. “Parimenti – prosegue la Nota – viene riconosciuta civilmente anche la dignità episcopale di S. E. mons. Agostino Cui Tai, vescovo emerito di Xuanhua. Tali eventi, frutto del dialogo tra la Santa Sede e le Autorità cinesi, costituiscono un passo rilevante nel cammino comunionale della nuova diocesi”.
Leone XIV pare inserirsi dunque sulla scia del precedente pontificato rispetto al delicato dossier cinese. Già a giugno, il Pontefice aveva provveduto a nominare il vescovo ausiliare di Fuzhou, sempre nell’ambito dell’Accordo. Allora, diversi commentatori sostennero che poteva trattarsi della ratifica di una decisione presa sotto Papa Francesco e che difficilmente il prudente Prevost avrebbe compiuto scelte così rilevanti poche settimane dopo l’elezione. Anche perché il tema dell’Accordo segreto ha avuto notevole risalto durante le congregazioni generali che hanno preceduto il Conclave, con diversi cardinali – in ogni caso non la maggioranza – che hanno preso la parola per denunciare il patto e auspicando che l’eletto lo disconoscesse. Intervenne anche il cardinale Joseph Zen Ze-kiun che iniziò il suo intervento chiarendo che “io ho 93 anni. Sono stato arrestato tre anni fa con l’accusa di aver violato la legge sulla sicurezza nazionale, anche se sono stato presto rilasciato su cauzione. Ho comunque sentito che era mio dovere venire. (…) Prego tutti di scusarmi se non posso parlare di certe cose, e devo tenere il massimo riserbo nel mio comportamento”. Oggi, invece, pur essendo stata firmata l’8 luglio scorso, la scelta relativa alla diocesi di Zhangjiakou appare la conferma di un percorso irreversibile verso l’unione della Chiesa cinese attraverso la progressiva messa a riposo dei vescovi “clandestini”, coloro che hanno sempre rifiutato di uniformarsi ai diktat del Partito e di sposare la sinizzazione, l’adeguamento del cattolicesimo ai princìpi culturali cinesi e – soprattutto – ai desiderata di Xi Jinping. Una dimostrazione la si è avuta qualche giorno fa, quando (lo si può constatare consultando il sito della diocesi di Shanghai), la locale comunità cattolica è stata radunata per assistere su un maxischermo alla parata celebrativa in piazza Tiananmen, fra carri armati, missili, falci e martelli.