Il gran sconcerto dei laici folgorati da Francesco dopo la lettura di “Dignitas infinita”

Delusi, offesi, disorientati. I fan laicisti del pontificato interdetti davanti alle chiusure nette su gender, aborto, maternità surrogata ed eutanasia

Matteo Matzuzzi

In realtà non si sta assistendo a nulla di nuovo: in questo pontificato i coup de théâtre sul fronte bioetico e della morale sono stati quasi all’ordine del giorno. Un po’ s’allenta l’antica presa, un po’ la si rafforza

Perfino Emma Bonino, che Papa Francesco qualche anno fa annoverò “tra i grandi dell’Italia di oggi”, si è sentita in dovere di commentare Dignitas infinita, la Dichiarazione del dicastero per la Dottrina della fede che chiude – e in maniera netta – a gender, maternità surrogata, cambio di sesso, aborto, eutanasia e suicidio assistito. Bonino dice di rispettare la Chiesa ma che non condivide la linea, perché il peccato non può essere reato. E come lei tanti, dal “gay e cattolico” padre di tre bambini avuti grazie all’utero in affitto che si dice “offeso”, al vasto universo folgorato dalla massima “chi sono io per giudicare” che parla di preti e papi e morale cattolica ma che orgogliosamente in chiesa non ci mette neanche mezzo piede. Marco Cappato, che anni fa fraintese le sagge parole di Francesco che elogiava “il bravo medico che accompagna il malato fino alla fine” – l’esponente pro suicidio assistito pensò che Bergoglio stesse “accompagnando la Chiesa su una strada più ragionevole” – parla di errori contenuti nella Dichiarazione. 

 

Sconcerto, delusione, risentimento e soprattutto tanta incomprensione. Ma come, solo quattro mesi fa lo stesso dicastero autorizzava la benedizione delle coppie omosessuali – seppure al riparo da occhi indiscreti e con cronometro alla mano – e adesso promulga un documento che pare uscito dalle stanze abitate dai più arcigni conservatori presenti in Vaticano? Come è stato possibile, si chiede chi – sulla scia di Cappato – pensava che Francesco stesse inaugurando un nuovo corso? Nella sequela di commenti, c’è perfino chi ha parlato di contentino al mondo conservatore, che non è stato in grado di apprezzare le grandi riforme strutturali e spirituali inaugurate nel 2013. Margaritas ante porcos, insomma. 

 

In realtà non si sta assistendo a nulla di nuovo: in questo pontificato i coup de théâtre sul fronte bioetico e della morale sono stati quasi all’ordine del giorno. Un po’ s’allenta l’antica presa, un po’ la si rafforza. Tre anni fa, il Papa autorizzò a dire no alla benedizione delle coppie gay, poi davanti al sussulto d’un certo mondo – anche cattolico – fece una mezza marcia indietro, spedì in provincia il firmatario di quel provvedimento e aprì la strada alla contestata Fiducia supplicans uscita dalla penna del fidato cardinale Fernández. E così sugli omosessuali, dal “chi sono io per giudicare un gay?” alle chiacchiere in libertà sulla “lobby gay in Vaticano”, dalle benedizioni all’opera pia di padre James Martin – che il giorno dopo Fiducia supplicans si faceva fotografare suggellare l’amore tra persone dello stesso sesso, e si presume per più dei canonici “dieci o quindici secondi” fissati dal Sant’Uffizio – alle bordate contro il gender.

 

Su questo terreno, Francesco ha usato toni tremendi, à la Kirill: “Bomba nucleare contro il matrimonio”, “sbaglio della mente umana che crea tanta confusione”, solo per citarne due. Solo che nella “narrazione” decennale del pontificato questi capitoli sono stati messi da parte, sotterrati dalle bandiere bianche da sventolare, dai pugni da dare a chi offende le mamme, dagli appelli a salvare il pianeta e dagli studi sulla raccolta differenziata della plastica inaugurata in Vaticano.

 

Appena il Papa riproponeva i temi “tradizionali”, semplicemente non se ne parlava. O nel caso se ne parlasse, si mettevano subito in rilievo le novità, gli aspetti diversi, l’evoluzione del pensiero e l’aggiornamento necessario date le mutate condizioni dei tempi odierni. Quasi a titolo giustificativo. Francesco, dopotutto, è colui che da cardinale in Argentina appoggiava le marce contro l’aborto – che per lui “è come affittare un sicario per ammazzare qualcuno” – e tirava in ballo pure il diavolo.

 

Ma in un contesto di permanente ospedale da campo, di vescovi che dicono di voler “accogliere tutti” senza dire una sola parola in più ma stando attenti a farsi immortalare da qualche flash che li faccia annoverare di diritto nella schiera eletta dei pastori con l’odore delle pecore, è chiaro che un testo come Dignitas infinita crei se non sconcerto, almeno disorientamento. E disorientato, forse, sarà anche quel mondo cattolico democratico che guarda bonariamente a Francesco perché ha riportato in auge opzioni che durante il lungo regno giovanpaolino parevano archiviate definitivamente (dalla lezione di don Milani a La Pira, ad esempio) ma che sui temi bioetici si è trovato immerso in un’eco di ruiniana memoria.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.