(LaPresse)

Tucho Fernández, il custode della fede che sta terremotando la Chiesa

Mistico e melodrammatico, il prefetto dell'ex Sant'Uffizio è il pretoriano più fedele di Papa Francesco, cui deve tutto. Loquace, insofferente alle critiche, è l'uomo che deve mettere in pratica la rivoluzione promessa

Matteo Matzuzzi

Ogni volta che interviene per mettere una toppa ai suoi documenti, s’apre un’altra voragine, una frattura. L'ultimo caso è la pubblicazione della Dichiarazione "Fiducia supplicans" che autorizza la benedizione delle coppie irregolari. Risultato? E' insorta l'Africa

Vediamo innanzitutto come gli uomini e le donne vivono l’orgasmo e qual è la differenza tra un orgasmo maschile e uno femminile. A lei piacciono di più le carezze e i baci, e ha bisogno che l’uomo giochi un po’ prima di penetrarla. Ma lui, insomma, è più interessato alla vagina che al clitoride. Al momento dell’orgasmo, lui di solito emette dei grugniti aggressivi; lei, invece, fa dei balbettii o dei sospiri infantili. Non dimentichiamo che le donne hanno un ricco plesso venoso intorno alla vagina, che mantiene un buon flusso sanguigno dopo l’orgasmo. Ecco perché di solito è insaziabile. Ma non dimentichiamo che a livello ormonale e psicologico non esistono maschi e femmine puri. Chiediamoci ora se queste particolarità dell’uomo e della donna nell’orgasmo si verificano in qualche modo anche nel rapporto mistico con Dio”. Così sta scritto in La Pasión mística. Espiritualidad y sensualidad, volumetto uscito nel 1998 di cui l’autore, Víctor Manuel Fernández, s’è talmente tanto vergognato da averne vietato la ripubblicazione, ha fatto sapere alla Vida Nueva. “Non lo riscriverei, e non volevo che fosse ripubblicato”, assicura oggi.  Però, se non altro, le pubblicazioni “giovanili” del cardinale Fernández non sono noiosissime riflessioni teologiche da eruditi della materia buone per convegni o seminari frequentati da preti, accademici e pensionati in cerca di colti passatempi pomeridiani. Nessuno scandalo, nessuna eresia. La pubblicazione è un simpatico divertissement che di certo non mina i fondamenti della fede, come tanti moralisti e ipocriti vanno dicendo. 

 

Da quando è diventato prefetto del dicastero per la Dottrina della fede, “Tucho” – per gli amici e per i parenti – ha rivoluzionato il settore di sua competenza. L’ex Sant’Uffizio, austero e silenzioso, un giorno sì e l’altro no risponde ai dubbi e alle richieste di vescovi da tutto il mondo. I trans possono fare da padrini ai battesimi? E le ceneri del nonno, si possono tenere in casa? E le unioni gay, le benediciamo o no? E i filippini possono essere massoni? Il prefetto, nel frattempo ammantato di porpora cardinalizia, risponde a tutti e pubblica sul sito del dicastero. Paginette in Word, formato A4, con la firma del Pontefice scannerizzata e malamente incollata (nessun reato o complotto, Francesco sa e approva tutto). Concede interviste su interviste, dall’Asia all’America latina, fino all’Europa. Assicura d’essere cattolico, se la prende con i critici – “Attaccano me, ma in verità attaccano il Papa” – invita a guardarsi le sue omelie in quel di La Plata per controllare quanto davvero parlasse di Madonna, adorazione, eucaristia. Quanto fosse e sia fervente, insomma. Soffre perché il suo curriculum non venga considerato nel modo appropriato – “Ho scritto diversi articoli sulla rivista Angelicum e sulla Nouvelle Revue Théologique”, fa sapere quando di lui si citano solo i libelli più chiacchierati –, se la prende su Facebook allorché “i cattolici negli Stati Uniti che non conoscono lo spagnolo traducono male una delle poesie del libro”, trasformando la parola “bruja” (strega) in “puttana”. Ma, tuona lui, “il libro dice ‘bruja’ e non hanno il diritto di cambiare le mia parole”. 

 

Soffre per essere finito nell’occhio del ciclone da quando il Papa, lo scorso luglio, l’ha messo al posto di Luis Ladaria Ferrer, l’anziano cardinale spagnolo (gesuita), che era il suo esatto opposto. Tanto è loquace Tucho, tanto era silenzioso Ladaria Ferrer. Tanto hombre del pueblo è Fernández, tanto ieratico era Ladaria. Tanto versatile è l’argentino, tanto rigoroso (alla Gregoriana si ricordano ancora con profondo rispetto ma altrettanto terrore le interrogazioni teologiche del prof. Ladaria). Il paradosso è che quest’ultimo – scelto da Benedetto XVI come segretario dell’allora congregazione – era il prototipo del collaboratore indicato da Francesco: lavoratore, obbediente, estraneo a taccuini e telecamere. Fu lui, infatti, a raccogliere l’eredità di Gerhard Ludwig Müller, pensionato al termine del primo quinquennio in qualità di prefetto proprio – così si disse – per il suo presenzialismo che sovente faceva da controcanto al verbo papale.  Fernández soffre, sa che gli oppositori – soprattutto quelli interni, e sono molti – si danno di gomito quando passa per i corridoi della curia, a capo chino. Sa che quando Bergoglio non ci sarà più, lui sarà lì a catalizzare gli sfoghi di chi è rimasto coperto, di chi non ha parlato o consegnato a siti internet e giornali accuse di eresia e d’aver picconato le fondamenta della Chiesa. Sono loro quelli che fanno più paura, perché più abituati a muoversi nei palazzi d’Oltretevere rendendosi quasi invisibili, benedicendo ogni atto papale salvo poi progettare con amici e confratelli il dopo in salotti assai affollati. 
Il cardinale Fernández non è certo uno sciocco, sa che si gioca tutto ora che può contare sul pieno appoggio di Francesco, che morto l’emerito Ratzinger gli ha dato in mano la tutela della dottrina. E sa che non può perdere tempo, per implementare quella rivoluzione profetizzata all’inizio del pontificato ma osteggiata sì dall’ala conservatrice della curia e dell’episcopato mondiale ma soprattutto – e inevitabilmente – dalla presenza orante e lucida di Benedetto XVI. Non è un caso che morto lui, l’accelerata sia stata rapida e per molti imprevista. Quasi che si dovesse recuperare il tempo “perduto”, nel limbo di una transizione che solo ora può finalmente essere completata. Fernández parla, spiega, chiarisce quel che aveva detto non avrebbe mai più chiarito (Fiducia supplicans, 18 dicembre, e relativo chiarimento, 3 gennaio). E ogni volta che interviene per mettere una toppa, s’apre un’altra voragine, una frattura. Un vescovo qui, un blog lì: più si fa presente, più va a fondo. Tirandosi dietro, nonostante guardiani ben attrezzati, un bel pezzo di talare papale. Scrive che le benedizioni sono pastorali e non liturgiche, e i vescovi si telefonano cercando di capire cosa voglia dire tutto ciò, come possa una benedizione – cioè un atto di per sé liturgico – non essere liturgica. 

 

Dettagli, ovviamente. In questa fase di storia della Chiesa, dove due più due può fare anche cinque (come argomentò padre Antonio Spadaro), tali logiche sono superflue, senza senso. Tucho è come il Bertone d’antan: cardinali amici da una vita, supplicavano Benedetto di cambiare segretario di stato. Il cardinale Joachim Meisner, uno che a Ratzinger dava del tu (uno dei pochissimi), lo implorò perfino a Castel Gandolfo: ne va del pontificato e dell’eredità, gli disse. E fu congedato subito. Meisner, uomo di potere e fine conoscitore delle dinamiche politiche interne alla Chiesa, aveva capito che la successione si sarebbe giocata anche sulle debolezze di Ratzinger, e sul suo uomo di fiducia. Sarà così anche per Fernández, capro espiatorio che sarà in mezzo a chi ne farà il feticcio della continuità bergogliana e chi il simbolo di ogni male. Lui guarda e prega, dice che quel che fa è volontà del Papa, cui si obbedisce sempre e comunque. Non potrebbe fare altrimenti, anche perché lui è diretta emanazione di Francesco, cui deve tutto. Fu umiliato, quando dal Vaticano per più di una volta lo valutarono inadeguato alla carica di rettore dell’Università cattolica argentina. Non aveva il profilo adeguato. Le sue pubblicazioni, poi (Saname con tu boca. El arte del besar, è il testo più conosciuto della sua bibliografia), non lo aiutarono, anzi tant’è che vi furono dubbi sulla sua ortodossia. Ed è qui che si rafforza il legame con il cardinale Jorge Mario Bergoglio, che ne ha sempre apprezzato la sua capacità di “mettere in dialogo la conoscenza teologica con la vita del popolo santo di Dio”. “Dato che si tratta di un’università pontificia la mia designazione richiedeva la ratifica di Roma. Arrivò 17 mesi dopo, perché alcune persone avevano presentato delle accuse su miei presunti errori dottrinali”, disse lo scorso luglio a Famiglia Cristiana: “All’epoca Bergoglio, che era arcivescovo di Buenos Aires, mi ha sempre sostenuto. Durante quella vicenda, una volta mi disse: ‘Alza la testa e non lasciare che ti tolgano la tua dignità’. Questa frase mi ha segnato per il resto della mia vita. Un altro momento davvero importante con lui è stata la Conferenza di Aparecida in Brasile, nel 2007. Una volta terminata l’assemblea, tornammo insieme in aereo in Argentina. Furono diverse ore di conversazione e quanto ci scambiammo è stato determinante per me”. 

 

Aparecida è centrale, perché è da lì che si rafforzò l’opzione Bergoglio per il pontificato. L’allora arcivescovo di Buenos Aires era il coordinatore della commissione per l’elaborazione del testo finale e si servì ampiamente del teologo Fernández per la stesura del documento. Due mesi dopo l’elezione, il 13 maggio del 2013 il reverendo dottor Fernández fu nominato arcivescovo, rimanendo rettore dell’Università cattolica argentina, carica come s’è visto faticosamente conquistata. Nel 2018, quando l’arcivescovo di La Plata mons. Héctor Aguer (il principale oppositore dell’allora cardinale primate d’Argentina in seno alla Conferenza episcopale) compì i 75 anni, il Papa scelse proprio Tucho come suo successore. E dopo cinque anni, il nuovo salto, stavolta a Roma. Non che Fernández, nel frattempo, fosse stato dimenticato. Tutt’altro. Ogni documento dottrinale del pontificato porta, nascosta ma neanche tanto, la sua mano. Amoris laetitia, che fece sussultare la Chiesa per il via libera al riaccostamento dei divorziati risposati alla comunione contenuto in una noticina a piè di pagina, era roba sua. Lo schema è sempre lo stesso: la dottrina non cambia, il resto sì. E così, in documenti apparentemente fedeli alla Tradizione (non a quella di pizzi e tricorni), si cela la novità che disorienta, lasciando che poi ciascuno faccia un po’ come crede. Lo si vide allora e lo si vede ancora oggi, con vescovi che interpretano Fiducia supplicans in un modo e altri nel modo opposto. A Madrid, per dire, il cardinale arcivescovo (mons. José Cobo, nominato lo scorso giugno e creato cardinale a tempo di record a settembre) si dice entusiasta della Dichiarazione e promette immediata attuazione, il suo ausiliare lamenta in pubblico che trattasi di documento pressoché eretico. 

 

E’ questo l’alveo in cui scorre da sempre la fluida dottrina di Fernández, che s’adatta al mutare del tempo e della Storia, che si fa concava e convessa a seconda di quel che il mondo domanda e s’attende. Dopotutto, disse lo scorso settembre alla Civiltà Cattolica, “è proprio il Magistero recente a dialogare con le circostanze attuali che attraversano il mondo e la Chiesa, con la cultura e le sue sfide. Il Magistero non è un mero ‘deposito’, ma è anche un dono presente che è attivo attraverso Francesco. Se il Magistero riesce anche a illuminarci nel nostro pellegrinaggio in questo momento della storia, dobbiamo lasciarci orientare dai suoi interventi recenti e attuali, ed è indubbio che ciò equivalga a continuare a bere da quel pozzo senza fondo che è la Rivelazione sempre vigente e sempre attuale”. Niente preconcetti, niente rigorismi, insomma: “La vida viene como viene”, è uno dei suoi motti, tant’è lo si vede cucito pure sulle stole arcivescovili della sua diocesi argentina. Tutto e di più. 

 

I suoi riferimenti teologici comprendono lo spettro che va dall’alfa all’omega: tomista ma con un amore particolare per san Bonaventura, e poi – disse – “ho tratto alimento soprattutto dalla precisione argomentativa di Karl Rahner, dalla profondità spirituale di Hans Urs von Balthasar, dall’ecclesiologia di Yves Congar e senz’alcun dubbio dall’opera preziosa di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI. In tutti loro sussiste un’intima connessione tra il pensiero e l’esperienza spirituale, sebbene ciascuno la ottenga a modo suo. Vale lo stesso per alcuni filosofi tomisti come Étienne Gilson o Réginald Garrigou-Lagrange”. Però, “sono latinoamericano e non si stupisca se pongo in risalto autori che esprimono l’aroma e le preoccupazioni della mia terra, come Gustavo Gutiérrez, Lucio Gera e Rafael Tello”. 

 

In modo inusuale, il Papa ha accompagnato la nomina di mons. Fernández a prefetto del fu Sant’Uffizio con una lettera in cui – dopo aver ricordato che il prescelto “come rettore della Pontificia università cattolica argentina ha incoraggiato una sana integrazione dei saperi” – gli si indicavano le priorità di lavoro. Intanto, scriveva Francesco, lo scopo centrale del Dicastero è quello di “custodire l’insegnamento che scaturisce dalla fede per ‘dare ragione della nostra speranza, ma non come nemici che additano e condannano’”. Sottolineava poi il Pontefice che “il Dicastero in altri tempi ha utilizzato metodi immorali. Erano tempi in cui, anziché promuovere la conoscenza teologica, si perseguitavano eventuali errori dottrinali. Ciò che mi aspetto da te è senza dubbio qualcosa di molto diverso”.

 

“Magro, ascetico e temutissimo” come il Grande Inquisitore dei Fratelli Karamazov, Tucho ha un tratto mistico. Devotissimo alla Vergine, dicono che si raccoglie in preghiera quando ne vede un’icona o un quadro che la rappresenta. I suoi occhi, che non saranno grandi come quelli di Chagall, fissi sui suoi. Fa da schermo al Papa, si prende ogni giorno la sua croce, ora che non è più la mano nascosta dei testi dottrinali di Francesco ma ne è la voce esplicita, come lo fu Ratzinger per Giovanni Paolo II. Assaltato dai “rigidi” e lodato dai curvaioli dell’aggiornamento tout court, quello fatto senza lasciare prigionieri: “Agli amici tutto, ai nemici niente”, come disse Juan Domingo Perón. Esulta padre James Martin, il missionario della causa lgbtq, con cui Fernández s’è trovato assai d’accordo durante il Sinodo sulla sinodalità, che non avrà rovesciato la Chiesa ma ha aperto processi che si vedrà dove porteranno.  L’obiettivo è l’unità, ça va sans dire, anche se risulta arduo mettere insieme le foto postate su X dal reverendo Martin mentre benedice le unioni gay con i proclami dei vescovi africani che ritengono “stregoneria” tale pratica. Nessun problema e nessun timore. Dopotutto, la vida viene come viene.
 

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.