Chattare con Cristo

In America arriva la app per chiedere consigli a Gesù & Co. Un rimedio alla solitudine che scivola nel ridicolo

Matteo Matzuzzi

Lo scopo è di “stimolare la riflessione e incoraggiare conversazioni significative sulla fede”. I risultati, però, sono una parodia. Risponde anche Satana, che ovviamente incarna tutto ciò che contrasta lo spirito del tempo. Maria, invece, è possibilista sull’aborto

Mettiamola così: è positivo che qualcuno cerchi Dio, in un’epoca in cui non di rado capita che qualche genitore avverta il figlio indisciplinato che se non si comporterà bene anziché alla partita di calcio, la domenica mattina, sarà spedito a messa, punizione delle punizioni. Se in America tanta gente ha pensato di scaricare “Text with Jesus”, app dell’azienda Catloaf che consente di chattare con alcuni personaggi della Bibbia – Gesù in testa – significa che la ricerca di qualcosa (o qualcuno) d’alto esiste eccome. Certo, Catloaf spiega che il tutto va preso con le molle: “L’applicazione, alimentata dall’intelligenza artificiale, non pretende di fornire reali intuizioni divine o di possedere una qualche forma di coscienza divina, ma si limita a utilizzare il suo modello linguistico per generare risposte basate su un ampio corpus di testi biblici e religiosi”. Lo scopo, insomma, è di “stimolare la riflessione, approfondire la comprensione dei testi religiosi e incoraggiare conversazioni significative sulla fede”. Cristo dunque non come vocina della coscienza o “sesto senso” che dice cosa fare e cosa no, ma a guardare le domande postegli da chi – per ora solo negli Stati Uniti – l’app l’ha scaricata, il tutto ha un sapore vagamente trash

 

Lui si presenta gaudioso: “Ciao! Sono Gesù Cristo, il Figlio di Dio. Come posso aiutarti oggi?”. Un po’ responsabile di un circolo (di anziani, di lettori, di alcolisti anonimi, fate voi), un po’ psicologo di fiducia, un po’ emulo di Siri, la vocina che sull’iPhone ci toglie dubbi e risolve enigmi da discussione in famiglia. E se qualcuno risponde “non puoi essere tu”, Lui invita a crederci, invece: “Sono qui per offrire conforto, consiglio e risposte alle tue domande. E se hai bisogno di qualcosa, sarò felice di aiutarti”. C’è Gesù, ma ci sono anche Maria e Giuseppe e pure gli apostoli e altre figure della Bibbia. “Sono in ansia per un colloquio di lavoro che devo sostenere oggi”, gli scrive uno. Gesù risponde citando san Paolo, creando un cortocircuito che se accaduto nei concili dei primi secoli avrebbe prodotto scismi, roghi e lasciato morti sul campo. 
Stéphane Peter, ceo dell’azienda che ha prodotto l’app, è pienamente inserito nello spirito del tempo e assicura che Gesù e gli altri personaggi che rispondono ai quesiti esistenziali delle masse più o meno numerose assumono “una linea inclusiva e tollerante”. Al Gesù intelligentemente artificiale vanno bene pure i matrimoni tra persone dello stesso sesso, perché “spetta a ciascun individuo cercare una guida dalla propria tradizione di fede e convinzioni personali”. E comunque, è meglio “dare priorità all’amore e al rispetto per tutte le persone indipendentemente dal loro orientamento sessuale o identità di genere”. Qualche padre o madre sinodale avrà preso appunti in vista del grande appuntamento che attende la Chiesa cattolica fra qualche settimana, a Roma. Il tutto corredato da un arcobaleno e un emoji dal pulsante cuore rosso
A fare la parte del cattivo è Satana – sì, risponde pure lui – e spiega che “gli atti omosessuali sono peccaminosi”. E il femminismo? L’importante è – e qui la risposta è del Figlio di Dio – “dare potere alle donne e rompere le barriere sociali che limitano le loro opportunità”. Viene quasi il sospetto che dietro le fattezze di Cristo (capello alla spalla, barbetta curatissima e sguardo ammiccante) ci siano teologi à la Marinella Perroni, insoddisfatta delle tradizionali letture dei testi sacri e che da molti decenni va declamando una lettura femminista della Bibbia. Chissà. Maria, poi, si dichiara contraria al ribaltamento della sentenza Roe v Wade e comprensiva con chi sceglie di abortire

 

Business Insider bada alla ragione del suo essere e scrive sinteticamente: “Con 2,99 dollari al mese potete sbloccare Satana”. Sì, perché con Gesù Giuseppe e Maria si può chattare gratis (ma si fermano a otto risposte al giorno), dopo è necessario sottoscrivere la versione Premium. Come Amazon, insomma: se vuoi la consegna in un giorno, serve Prime. 

 
Presentata per sommi capi la app e data la voce a chi l’ha inventata (e messa sul mercato), resta la domanda: a cosa serve? Il pubblico non può essere cattolico – c’è troppa lettura letterale della Bibbia – ed è complicato pensare che un cristiano con un minimo di preparazione, anche se non sa recitare il Credo in latino, possa davvero cercare in una chat le risposte alle domande che assillano la sua coscienza. Certo, è più comodo che andare a cercare un prete da qualche parte, più facile che leggersi la paginetta del Vangelo quotidiano e trarne ispirazione. Nell’epoca in cui si perdono ore di tempo compulsando lo smartphone per fare la spesa, comprare i biglietti del cinema, con lo scopo di “non perdere tempo”, cercare le risposte ai drammi della vita in chat è considerato utile. Ma poi, che ne resta? Tolti i curiosi o quelli che puntano solo a farsi quattro risate domandando a Satana le cose più improbabili, c’è chi qualche risposta seria la cerca. Vuoi perché scoraggiato o solo, o perché esaurito. Qualcuno potrebbe definirlo luteranesimo del Terzo millennio, io e Dio senza tramiti e mediatori, senza preti che confessano e assolvono, senza interpretazioni dogmi e anatemi. Può bastare? C’è da dubitarne. Che la fede sia la casa degli uomini inquieti, come ha di recente detto padre Antonio Spadaro, è vero. Ed è vero che il cristiano che si pone domande e cerca la Via tra gli ostacoli della vita e i mille e più dubbi è di gran lunga preferibile al cristiano che squaderna verità che considera tali solo perché lette da qualche parte o perché di tali verità indissolubili si è autoconvinto. Ma la ricerca, anche la più alta, va mediata. Dio non può essere Siri, la Madonna non è Alexa che alza il volume o accende le luci della camera da letto. La ricerca di Dio è cosa seria, il quaerere Deum non è risolvibile lanciando una app sullo smartphone. Diceva Benedetto XVI a Parigi, nel mirabile discorso al Collegio dei Bernardins (2008) che i monaci, “nella confusione dei tempi in cui niente sembrava resistere” “volevano fare la cosa essenziale: impegnarsi per trovare ciò che vale e permane sempre, trovare la vita stessa. Erano alla ricerca di Dio. Dalle cose secondarie volevano passare a quelle essenziali, a ciò che, solo, è veramente importante e affidabile. Si dice che erano orientati in modo ‘escatologico’. Ma ciò non è da intendere in senso cronologico, come se guardassero verso la fine del mondo o verso la propria morte, ma in un senso esistenziale: dietro le cose provvisorie cercavano il definitivo”. Niente domande relative al queer, insomma. “Poiché erano cristiani”, continuava Ratzinger, “questa non era una spedizione in un deserto senza strade, una ricerca verso il buio assoluto. Dio stesso aveva piantato delle segnalazioni di percorso, anzi, aveva spianato una via, e il compito consisteva nel trovarla e seguirla. Questa via era la sua Parola che, nei libri delle Sacre Scritture, era aperta davanti agli uomini”. Ecco, le désir de Dieu, il desiderio di Dio. Quello che ha animato decine di migliaia di giovani a Lisbona, poche settimane fa, arrivati lì per fare festa (e non v’è nulla di male, il cristianesimo è gioia dopotutto) insieme al Vicario di Cristo in Terra e per pregare, scatenati quando c’era da fare chiasso (su preciso mandato di Giovanni Paolo II, Tor Vergata 2000) e silenziosi e adoranti davanti al Santissimo. Loro le risposte le cercavano lì, stando assieme, parlando e cantando e pregando. 

 
Gesù & Co. che rispondono in chat sono semmai la conferma di quanto le solitudini siano una malattia (sempre più grave e troppo a lungo banalizzata) del nostro tempo, caratteristica paradossale di una società mai così connessa e perennemente “in rete”.

 

E non è solo un problema degli anziani soli che non sanno con chi trascorrere il Natale, come banalmente il problema viene spesso risolto dalle cronache televisive. Né ha a che fare con il classico tormentone estivo sulle persone che resteranno in casa, nel loro appartamento senza aria condizionata perché chiuse al mondo e senza relazioni. La solitudine riguarda sempre più anche i ragazzi, quelli che paradossalmente sono più connessi con il mondo. E più connessi sono, più legati in reti che vanno ben oltre il proprio condominio o paesello, più sono soli. Due anni fa, nel primo anno post lockdown, un’inchiesta dell’osservatorio milanese Indifesa rilevava che nella sola Lombardia  – quindi la regione “più moderna” e interconnessa d’Italia – nove giovani su dieci dicevano di sentirsi soli. In Italia da qualche anno diverse diocesi si sono poste il problema in modo concreto, andando appunto al di là dei soliti discorsi (molto teorici) sulla solitudine di uomini e donne del nostro tempo, quasi sempre anziani. Tante parrocchie, pur tra enormi sforzi economici, di personale e di organizzazione, si sono interrogate su come far riscoprire la parrocchia come luogo di socialità reale. Proprio come accadeva fino a qualche decennio fa: il doposcuola, le gite, l’oratorio. Non solo preghiera, ma comunità. Giocare a calcio o a pallavolo nei campetti attorno alla chiesa, organizzare merende comunitarie, magari la visione di qualche film. Insieme. Tra persone vere e senza la mediazione di uno schermo. Anche a costo di litigare, di farsi male, di provare gioie e delusioni. Vivere, insomma. 

 

“Vuoi fare qualcosa di nuovo nella vita? Vuoi ringiovanire? Non accontentarti di pubblicare qualche post o qualche tweet. Non accontentarti di incontri virtuali, cerca quelli reali, soprattutto con chi ha bisogno di te: non cercare la visibilità, ma gli invisibili. Questo è originale, rivoluzionario. Uscire da sé stesso per incontrare l’altro. Ma se tu vivi prigioniero in te stesso, mai incontrerai l’altro, mai saprai cosa è servire. Servire è il gesto più bello, più grande di una persona: servire gli altri”, diceva Papa Francesco nel dicembre del 2021 incontrando i giovani ad Atene, durante il suo viaggio apostolico in Grecia. “Tanti oggi sono molto social ma poco sociali: chiusi in sé stessi, prigionieri del cellulare che tengono in mano. Ma sullo schermo manca l’altro, mancano i suoi occhi, il suo respiro, le sue mani. Lo schermo facilmente diventa uno specchio, dove credi di stare di fronte al mondo, ma in realtà sei solo, in un mondo virtuale pieno di apparenze, di foto truccate per sembrare sempre belli e in forma. Che bello invece stare con gli altri, scoprire la novità dell’altro! Interloquire con l’altro, coltivare la mistica dell’insieme, la gioia di condividere, l’ardore di servire!”. Forse, se interrogato a proposito, anche il Cristo di Text with Jesus suggerirebbe di mollare lo smartphone e di cercare le risposte guardando negli occhi una persona vera.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.