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le parole di francesco

Il Papa invita a riflettere sul “diritto a non dover emigrare”. Meloni respira

Matteo Matzuzzi

"Liberi di scegliere se emigrare o restare" è il titolo del messaggio di Francesco per la giornata mondiale del migrante e del rifugiato. Un pensiero che non dispiace al governo, ma che la politica non dovrebbe strumentalizzare: non è la prima volta che il Pontefice ne parla

Non si dispiacerà molto Giorgia Meloni del tema scelto dal Papa per la 109esima Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, che sarà celebrata il prossimo 24 settembre. Ieri all’ora di pranzo, il dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale ha comunicato che il titolo del messaggio di Francesco è “Liberi di scegliere se migrare o restare”. L’intenzione, si chiarisce, è di “promuovere una rinnovata riflessione su un diritto non ancora codificato a livello internazionale: il diritto a non dover emigrare, ossia – in altre parole – il diritto a poter rimanere nella propria terra”. Più in dettaglio, “la natura forzata di molti flussi migratori attuali obbliga a una considerazione attenta delle cause delle migrazioni contemporanee. Il diritto a rimanere è precedente, più profondo e più ampio del diritto ad emigrare. Esso include la possibilità di essere partecipi del bene comune, il diritto a vivere in dignità e l’accesso allo sviluppo sostenibile, tutti diritti che dovrebbero essere effettivamente garantiti nelle nazioni d’origine attraverso un esercizio reale di corresponsabilità da parte della comunità internazionale”. Naturalmente il Papa non ha voluto fare un assist al governo italiano, anche perché più volte Francesco ha espresso tale concetto. 

Lo fece anche lo scorso settembre, ricevendo quanti partecipavano alla Conferenza internazionale sui rifugiati e i migranti promossa dalla facoltà di Scienze sociali della Pontificia Università Gregoriana. “E’ importante riflettere sulle cause dei flussi migratori e sulle forme di violenza che spingono a partire verso altri paesi. Mi riferisco naturalmente ai conflitti che devastano tante regioni del mondo. Ma vorrei anche sottolineare un altro tipo di violenza, che è l’abuso della nostra casa comune”. Insomma, niente di nuovo, anche perché il diritto a non emigrare è una costante del pensiero dei Papi. Dieci anni fa, Benedetto XVI scriveva che “nel contesto socio-politico attuale, però, prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra”. E oggi Francesco lo ribadisce. 

Sul piano politico, le parole di Francesco saranno tradotte in “piano Mattei” o “piano Marshall” per l’Africa, come si è più volte sentito negli ultimi mesi, ed è verosimile che si assisterà a una strumentalizzazione di quanto messo nero su bianco dal dicastero vaticano (sperando che stavolta si evitino almeno le targhe con i virgolettati decontestualizzati, non particolarmente apprezzati nei corridoi di Santa Marta). Però è indubbio che mentre una larga parte della Chiesa si limiti a predicare accoglienza tout court senza indicare i passi successivi e così non rivelandosi all’altezza della sfida (è la critica che ha mosso ieri, sul Corriere della Sera, Angelo Panebianco), Francesco vada oltre e distingua i due aspetti: sì all’accoglienza e all’integrazione ma con prudenza, come disse anni fa tornando dal viaggio a Lund, in Svezia: “C’è anche la prudenza dei governanti, che devono essere molto aperti a riceverli ma anche a fare il calcolo di come poterli sistemare, perché non solo un rifugiato lo si deve ricevere, ma lo si deve integrare. Se un paese ha una capacità di integrazione, faccia quanto può”. Nel 2018, aggiunse: “Serve un piano di investimenti e di educazione in Africa per farla crescere”. Realismo che va ben al di là delle strumentalizzazioni, politiche e ideologiche.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.