Kiev o Mosca? Per la Santa Sede è un bel problema

Pressioni ucraine per un intervento del Papa ma la posta in gioco è troppo alta: a rischio il rapporto con il Patriarcato (e il nuovo incontro con Kirill)

Matteo Matzuzzi

La Cei lancia appelli alla prudenza, Sant'Egidio organizza flash mob a Roma come accadde nel 2003 contro la guerra in Iraq

Roma. L’arcivescovo maggiore di Kiev, Sviatoslav Shevchuk, ha detto che se il Papa si recasse anche solo per un istante in Ucraina, non si parlerebbe più di guerra. La sua statura morale e  religiosa è così grande che nessuno, dopo un evento del genere, avrebbe il coraggio di muovere un mezzo corazzato sul terreno o di lanciare qualche missile da una portaerei ancorata al largo di Odessa. Cremlino e Nato, Putin e Biden: nessuno darebbe il via a operazioni belliche. Francesco, a fine gennaio, ha indetto una giornata di preghiera per la pace in Ucraina, ogni domenica all’Angelus ripete che bisogna fare il possibile per scongiurare un conflitto dal potenziale devastante, altro che Terza guerra mondiale a pezzi, qui la guerra sarebbe unica e apocalittica. La Conferenza episcopale italiana, ieri, si è accodata agli auspici papali, promuovendo preghiera e riflessione e così stanno facendo decine di vescovi da un capo all’altro d’Italia e d’Europa. La Santa Sede, però, rimane in una posizione di prudente attesa, almeno per ora. Niente interventi diretti, nessuna lettera a Vladimir Putin come capitò nel settembre del 2013, quando Francesco scrisse personalmente al presidente russo chiedendogli di bloccare ogni attacco alla Siria governata da Bashar el Assad.

 

Non si può, la posta in gioco (anche diplomatica) è altissima e nessuno a Roma vuole compromettere il rapporto, delicato e complicato, con il Patriarcato di Mosca. Prendere esplicitamente la posizione di Kiev, contestando la politica aggressiva russa manderebbe a rotoli anni di paziente e sapiente tessitura culminata nello storico incontro dell’Avana con Kirill, il 12 febbraio del  2016. Significherebbe impelagarsi in questioni che solo in parte toccano il possibile conflitto locale, ma che inevitabilmente sfocerebbero in discussioni meramente religiose nelle quali Roma non ha alcuna intenzione di infilarsi. Anche perché già guarda con sconcerto alle tensioni tra Mosca e Costantinopoli, con le accuse reciproche fra Kirill e Bartolomeo I e le scaramucce che continuano in Africa dopo la decisione di quest’ultimo di concedere a Kiev l’autocefalia, fatto vissuto come una provocazione totale da Mosca. Interpellato dall’agenzia Reuters, l’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede, Andriy Yurash, ha detto che in realtà il Vaticano sta considerando gli inviti ricevuti per mediare tra le parti, anche  – se necessario – a mandare propri inviati con il compito di stemperare le tensioni. Va detto che la prassi più recente della diplomazia vaticana preferisce “facilitare” intese tra le parti anziché mediare in modo diretto, ma nulla può essere escluso a priori: flessibilità e  non rigidità è la parola chiave.  

 

Non  sarebbe una novità, dopotutto lo fece già Giovanni Paolo II nel 2003, mandando Pio Laghi a Washington e Roger Etchegaray a Baghda nel tentativo di fermare la seconda guerra del Golfo. Ed è proprio a quel precedente che si è richiamato il presidente della Comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo, che ha chiamato a raccolta la società civile europea affinché scenda in piazza manifestando contro il conflitto. “Non sarebbe certo un’ingenuità, ma un atto di realismo da parte delle popolazioni europee”. Sant’Egidio scenderà in piazza oggi alle 18.30 davanti al Pantheon. Non solo cattolici: il rabbino capo di Kiev, rav Yaakov Bleich, avverte il mondo: “Siamo pronti al peggio, nessuno si fidi della Russia”
  

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.