Bartolomeo I (foto LaPresse)

Ortodossi pronti alla guerra di religione

Redazione

Mosca accusa Washington per il “golpe” di Bartolomeo I. A Kiev brindano

Che la disputa tra gli ortodossi di Mosca e quelli di Costantinopoli fosse più politica che spirituale lo si era capito fin dalla scorsa primavera, quando fu il presidente ucraino Petro Poroshenko a chiedere pubblicamente che Bartolomeo I concedesse l’autocefalia (ossia l’indipendenza) alla chiesa ortodossa di Kiev, sottraendola alla giurisdizione di Mosca. Molto meno scontato era che il prudente patriarca di Costantinopoli rispondesse positivamente all’appello ucraino, scatenando così l’ira moscovita. Che non si è fatta attendere: dopo la minaccia di reagire adeguatamente alla provocazione, Hilarion di Volokolamsk, voce di Kirill per tutto ciò che attiene alle relazioni esterne, punta l’indice contro gli Stati Uniti, a suo dire i veri manovratori di quanto accade sul Bosforo: “L’America è interessata all’indebolimento della chiesa ortodossa russa perché come era solito dire Zbigniew Brzezinski, dopo il crollo dell’Unione sovietica la forza principale rimasta che va distrutta è la chiesa ortodossa russa. Ed è ciò che sta accadendo ora”. E’ “del tutto ovvio”, ha aggiunto Hilarion, “che ci sia l’Amministrazione americana dietro le azioni del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli”. Trovandosi in una posizione di estrema debolezza – Mosca è pressoché isolata nella variegata realtà ortodossa – la chiesa di Kirill tenta di caricare la contesa di significati meramente politici. Ecco allora che Hilarion agita lo spauracchio americano che ancora una volta mira al calcagno della Russia, corroborando la denuncia con puro pathos nazionalista. La chiesa cattolica, che pure da qualche parte è stata invocata come ipotetico agente mediatore, se ne sta bene alla larga: ci mancherebbe solo che intervenisse il Papa di Roma in un terreno dove sulla questione dei greco-cattolici (gli uniati) la furia di Mosca ha già dato ottima prova di sé – Hilarion ha accusato l’arcivescovo maggiore di Kiev, Sviatoslav Shevchuk, di “fare proselitismo”. Da parte loro, gli ucraini accolgono come una vittoria la reazione russa, gettando ancora più benzina sul fuoco: “Non saranno Putin e Kirill a dirci cosa fare”, ha fatto sapere Poroshenko. Gli ingredienti capaci di produrre una miscela esplosiva ci sono tutti e se un tempo i contrasti tra chiese autocefale si sarebbe risolto con una reciproca scomunica, oggi il rischio è che la disputa trovi il proprio sfogo su un campo di battaglia per nulla metaforico: Russia, Stati Uniti e Ucraina; religione e politica. La sensazione è quella di aver già compreso il significato della minaccia lanciata dal Patriarcato di Mosca al mite Bartolomeo.