Sugli abusi i vescovi italiani sono attendisti, in vista delle elezioni di primavera

Copiare o no il modello francese? I vescovi si interrogano mentre preparano la successione alla guida della Cei. Lascia il cardinale Bassetti

Matteo Matzuzzi

Niente questionari. Sinodo, inchieste e responsabilizzazione dei laici. Tanti temi all'attenzione della Conferenza episcopale italiana prima della scelta del nuovo presidente

I vertici della Conferenza episcopale francese assicurano che il Papa li ha incoraggiati ad andare avanti sulla strada della penitenza e del mea culpa sugli abusi commessi da membri del clero negli ultimi settant’anni, anche se  “non è entrato nel dettaglio” – così ha detto il presidente dei vescovi, mons. Éric de Moulins-Beaufort delle critiche autorevoli mosse al rapporto presentato a ottobre dalla Commissione presieduta da Jean-Marc Sauvé. Francesco, in aereo tornando da Atene, qualche dubbio l’aveva espresso, se non altro relativamente alla contestualizzazione storica dei fatti contestati e registrati nel lungo dossier. Non è dato sapere se le perplessità di Francesco, che in un primo momento aveva espresso pubblicamente (udienza generale del 6 ottobre) tutta la sua vergogna per quanto emerso, siano dovute anche alla lettera che otto membri dell’Accademia cattolica di Francia hanno fatto pervenire sul suo tavolo. Una messa in stato d’accusa del rapporto Sauvé, contestato non solo per le conclusioni che poco hanno a che vedere con l’oggetto trattato – il professor Sauvé ha tirato in ballo la necessità di procedere a “riforme” nella Chiesa – ma anche per la metodologia seguita nell’indagine. Un esempio su tutti: il rapporto parla di 330 mila vittime accertate, senza tenere in considerazione lo studio richiesto sempre dalla medesima commissione all’Ecole Pratique des Hautes Etudes che aveva calcolato in non più di 24 mila i casi “certi”. Per i membri dell’Accademia (tra cui il presidente e il suo vice), “lo spirito che governa l’analisi delle cause e la formulazione delle raccomandazioni sembra a prima vista ideologico”. Passata l’emozione destata dal dossier, anche i vescovi italiani si sono domandati se sia il caso di procedere  con un’inchiesta indipendente del genere per far luce sul passato. 

 

Se ne è discusso in occasione  dell’ultima assemblea generale, lo scorso novembre, con riunioni protrattesi fino a tarda sera cercando una rotta sul tema. Da un lato i vescovi che, citando la massima papale secondo cui “questo è il momento in cui provare vergogna”, spingevano per promuovere un’indagine, dall’altro quelli che (la maggioranza) avvertivano sui rischi di alimentare una gogna dalla quale poi sarebbe risultato complicato sottrarsi. Più di un presule, anche nei conciliaboli ristretti, sottolineava che se si vuole fare le cose per bene non si può affidare il calcolo degli abusi a  questionari anonimi compilati online. Non pochi vescovi sono perplessi rispetto all’ipotesi di demandare ai laici la realizzazione di un’indagine così complicata. La storica Lucetta Scaraffia, sulla Stampa, osservava che proprio la responsabilizzazione dei laici è la vera rivoluzione operata dalla Chiesa francese:  “Saranno i laici, quelli a cui finora era stato detto che dovevano solo obbedire e fare poche domande sul funzionamento interno della Chiesa, a pilotare questo necessario processo critico”. 
Il tema è delicato e il momento anche: tra qualche mese la Cei, che sta avviando faticosamente il processo sinodale richiesto dal Pontefice, rinnoverà i suoi vertici, con l’elezione del nuovo presidente che sostituirà il cardinale Gualtiero Bassetti. Si voterà una terna da sottoporre all’attenzione di Francesco, che poi sceglierà. In questi ultimi cinque anni l’episcopato italiano è radicalmente mutato e i vescovi sono sempre più (anche numericamente) con “l’odore delle pecore” caro al Papa regnante. Basterà per archiviare definitivamente la stagione inaugurata a Loreto nel 1985 con il mandato pieno conferito da Giovanni Paolo II a Camillo Ruini? Il vicepresidente della Cei, mons. Erio Castellucci, ha detto che per dare corpo a “una Chiesa diversa”  – espressione di Congar ripresa dal Papa a ottobre, quando ha inaugurato l’avvio del percorso sinodale – “occorre  una vera conversione, perché senza conversione si tratterebbe solo di un rifacimento esteriore, di un abbellimento”. E conversione “significa anche cambiamento strutturale, a livello formativo, di evangelizzazione, di impostazione, di organizzazione”. Il programma, insomma, c’è ed è ambizioso. Resta da capire se ci saranno la volontà e il coraggio di andare fino in fondo.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.