Il Papa rimprovera i vescovi italiani: “Ho notato qualche amnesia”

Tribunali, seminari, Sinodo: ecco i temi che Francesco ha discusso con l'episcopato italiano aprendo l'Assemblea generale

Matteo Matzuzzi

"Sono passate tante cose dal nostro primo incontro” e c’è una cosa “che ho visto: l’amnesia. Perdiamo la memoria di quello che abbiamo fatto, Firenze 2015"

Tribunali, seminari, Sinodo.  Prima che il collegamento fosse interrotto – il Papa ha chiesto che il dialogo con i vescovi si svolgesse al riparo da orecchie indiscrete – Francesco ha elencato, alla maniera gesuita, i tre punti che più gli stanno a cuore nel confronto con l’episcopato italiano che ieri, a Roma, ha aperto la sua assemblea annuale all’Ergife  Palace Hotel – location non troppo gradita da Bergoglio, che ha subito detto: “Quando sono entrato mi è venuto in mente un cattivo pensiero: ma questa è un’assemblea dei vescovi o un concorso per eleggere il vescovo più bello?”. Veni creator spiritus, lettura dal Vangelo, preghiere, lampade a olio, saluto del cardinale presidente Gualtiero Bassetti. Quindi parola al Pontefice: piccola introduzione e poi dibattito, domande dei vescovi e risposte del Papa “così parliamo di quello che interessa a voi e non di quello che interessa a me o a nessuno”, ha precisato Bergoglio. Risolto in pochi istanti il tema dei tribunali – è prevista una visita di due giudici rotali che si incontreranno con “il vescovo di una diocesi che ha il nome di un vino famoso, che è responsabile dell’ufficio della Cei per i problemi giuridici” (si tratta di mons. Roberto Malpelo, sacerdote della diocesi di Montepulciano-Chiusi-Pienza) – Francesco è passato ai seminari. E qui il tono si è fatto serio: “C’è un pericolo molto grande, sbagliare nella formazione e nell’ammissione dei seminaristi che sembravano buoni ma erano rigidi. E spesso dietro a quella rigidità c’erano problemi, cacciati da congregazioni, diocesi. Anche sulla formazione, non possiamo scherzare”. 

 

Infine, il terzo punto: il Sinodo per l’Italia. Progetto ambizioso, lanciato due anni fa dalla Civiltà Cattolica e che più d’un sospiro ha fatto fare a non pochi vescovi. Non era la priorità, si erano affrettati a dire dai vertici della Cei, elencando una serie di plausibili motivazioni per rinviare a tempi migliori lo studio del progetto. In realtà, diversi presuli temevano che indire un Sinodo della Chiesa italiana avrebbe aperto un vaso di Pandora dal quale sarebbe uscito di tutto, rendendo il processo incontrollabile. Il Papa, che già due anni fa aveva fatto capire di volere una grande assemblea, lo scorso gennaio l’aveva ripetuto in occasione dell’incontro promosso dall’Ufficio catechistico nazionale della Cei: “Tornare al Convegno nazionale di Firenze” perché  lì “c’è proprio l’intuizione della strada da fare in questo Sinodo” . Ieri l’ha sottolineato di nuovo, aggiungendo che quanto aveva chiesto anni fa, in occasione del primo incontro con i vescovi della Cei nel 2013, non è stato seguito da fatti concreti: “Sono passate tante cose dal primo incontro” e c’è una cosa “che ho visto: l’amnesia. Perdiamo la memoria di quello che abbiamo fatto, Firenze”.

 

Il riferimento è al Convegno ecclesiale del 2015, quando nella città toscana Francesco consegnò il programma di una svolta che superasse la lunga stagione iniziata nel 1985 a Loreto. Una chiesa in movimento chiamata a rinnovarsi. Tanti applausi, pochi fatti. Ecco che il Sinodo, ora, offre l’occasione giusta per rimediare. Un Sinodo che “deve iniziare dal basso, dalla saggezza del popolo di Dio, che è infallibile in credendo. La luce viene da Firenze, da quell’incontro, ma poi il Sinodo deve cominciare dalle piccole comunità. Pazienza, lavoro, far parlare la gente”. A Firenze, in quel pomeriggio di novembre, aveva detto che questo “è il tempo di comunità missionarie, libere e disinteressate, che non cerchino rilevanza e tornaconti, ma percorrano i sentieri della gente del nostro tempo, chinandosi su chi è al margine”. 

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.