AP Photo/Gregorio Borgia, File

Un cardinale alla gogna

George Pell

Cinque anni di accuse infamanti, i processi in Australia e le condanne prima dell’assoluzione all’unanimità. Le manette ai polsi, le catene ai piedi, il divieto di celebrare messa. I diari del calvario di George Pell, testimone dell’odio contro la chiesa

Sarà in libreria dal 13 maggio “George Pell. Diario di prigionia”, il volume edito da Cantagalli (448 pp., 25 euro) in cui il cardinale australiano racconta i suoi tredici mesi trascorsi in prigione, otto dei quali in isolamento, prima dell’assoluzione piena decisa dall’Alta corte. Il diario, tradotto in italiano da Davide Riserbato, si avvale di un’introduzione firmata da George Weigel.

 

A George Pell, prefetto della Segreteria per l’Economia, cardinale potentissimo e stimato assai dal Papa, nessuno aveva ordinato di tornare in Australia a farsi sbranare dai lupi che gli auguravano le fiamme dell’inferno eterno. Avrebbe potuto rimanere a Roma e guardare su uno schermo televisivo il pietoso spettacolo di un processo che mai si sarebbe dovuto tenere. Lui era l’imputato, la preda più ambita: arcivescovo di Melbourne, quindi di Sydney. Grande organizzatore della Giornata mondiale della Gioventù del 2008, forse papabile, chiamato in Vaticano da Francesco per rimettere in sesto le finanze d’oltretevere. L’accusa era terribile: aver stuprato nella sagrestia della cattedrale di Melbourne, nel 1996, due coristi. Al termine della messa. Stuprati in “cinque-sei minuti”, mentre l’arcivescovo aveva ancora addosso  i paramenti liturgici. Nessuno, naturalmente, aveva visto né sentito. Testimoni a favore del cardinale, una ventina. La ricostruzione della vicenda è nota, l’impianto che metteva alla sbarra Pell era ridicolo e sarebbe bastato un chierichetto a fare da perito processuale per smontarlo, pezzo dopo pezzo. Ma in questo processo, come scrisse John Finnis, grande filosofo del diritto dell’università cattolica di Notre Dame e professore emerito di Oxford, “è stato ribaltato l’onere della prova”. Non spettava più ai due accusatori (poi rimasto uno soltanto, l’altro nel frattempo era deceduto) dimostrare che lo stupro era avvenuto, ma era l’imputato a dover convincere – non si sa come – giudici e giurati che l’accusa era risibile. Un processo, scrisse ancora Finnis, che avrebbe dovuto fare inorridire non già i sostenitori del cardinale, “ma tutti quelli che hanno a cuore lo stato di diritto, il giusto processo, la presunzione di innocenza”. Mentre dal Vaticano si guardava lo spettacolo con freddezza, tra il silenzio generale e gli algidi comunicati in cui si ricordava che il cardinale continuava a professarsi innocente e la rituale e ribadita conferma della fiducia nella giustizia australiana.

 

Pell era consapevole di quello che l’attendeva una volta rimesso piede in patria, le scene con i rabbiosi manifestanti sventolanti cappi e manette le aveva viste; i giornali che lo presentavano nelle vesti di “mostro”, li aveva letti. Sapeva tutto o quasi: di certo non avrebbe mai pensato di essere arrestato e di vedersi i piedi legati da una catena. Sbattuto in una cella e privato di ciò che un prete più desidera, la possibilità di celebrare la messa. Più volte Pell torna su questo aspetto nelle pagine del Diario scritto giorno dopo giorno nella sua cella lunga sette-otto metri e larga “più di due” che ora Cantagalli manda in libreria nella traduzione italiana. E’ il primo volume, Pell è solo con la sua nuova routine, con i malanni, le scomode posate di plastica, il bollitore e il televisore. Qualche rivista, “Guerra e pace” di Tolstoj, quattro quadratini di cioccolato bianco. Privato di tutto, della libertà innanzitutto, e poi della possibilità di fare il sacerdote. Consapevole di essere la vittima sacrificale di un processo alla chiesa cattolica, il bersaglio più facile di una resa dei conti mediatica e giudiziaria, nelle pagine del diario non risparmia nulla a chi persegue quell’intento. Eppure, e il lettore se ne accorgerà subito, traspare anche una serenità a tratti sconvolgente. Condannato in primo grado e poi in appello (seppure con verdetto non unanime), non ha mai perso la speranza, anche perché sempre ha avuto fede – e lo scrive – nella Divina provvidenza. (Matteo Matzuzzi)


Giovedì, 14 marzo 2019


Due parole sul mio alloggio nella cella 11, unità 8 della Melbourne Assessment Prison, dove sono rinchiuso insieme a un terrorista musulmano (penso sia quello che questa sera sta cantando le sue preghiere, ma potrei anche sbagliarmi) e a Gargasoulas, l’assassino di Bourke Street. Di fatto, non li conosco. Almeno un paio di detenuti, su circa una dozzina di celle, di notte si mettono spesso a gridare per la disperazione, di solito però non per molto. E’ interessante notare come ci si possa abituare a questo rumore e come esso diventi poi parte del contesto. Sono in isolamento, ma mi è concesso fare esercizio fisico per un’ora al massimo e ricevere visite di avvocati, autorità, amici, il medico, ecc. Quanto a simpatia, i secondini non sono tutti uguali, ma sono tutti corretti, molti gentili e alcuni addirittura amichevoli e disponibili. Quando faccio esercizio posso ricevere la posta e usare il telefono.

La mia cella misura circa 7 o 8 metri di lunghezza, ed è larga più di 2 metri sotto la finestra dal vetro opacizzato dove si trova il letto; un buon letto con una solida rete, un materasso non troppo spesso, lenzuola ecc. e due coperte. Poiché non ci sono finestre che si possano aprire, abbiamo l’aria condizionata che si è rivelata molto utile nella calura della scorsa settimana.

 

Subito dopo la porta d’ingresso, sulla parete di sinistra, ci sono delle mensole, un tavolino per il bollitore e la televisione, e uno spazio per mangiare. Dall’altro lato di questo spazio angusto, entrando sulla destra, abbiamo un lavandino con acqua calda e fredda, una toilette aperta con sedile e braccioli alti (per via delle mie ginocchia) e un vano doccia molto solido con l’acqua abbastanza calda. A differenza di molti alberghi di lusso, sul muro sopra al letto c’è una buona lampada da lettura. E’ molto accogliente, con tutti i servizi essenziali a portata di mano proprio come un appartamento cinese di alcuni membri della Chiesa sotterranea a Shanghai dove sono stato. Là avevano una stufa, un gabinetto e un lavandino messi uno vicino all’altro in fondo al piccolo appartamento. In prigione sembra che tutte le cose debbano essere basse, la sedia ortopedica più alta che mi hanno messo a disposizione è dunque una vera benedizione, insieme al collare in gomma che ho portato con me. Non c’è molto spazio per i vestiti, anche se dobbiamo indossare l’uniforme verde della prigione costituita da pantaloni e giacca della tuta. Dal pavimento di cemento giallo la vernice si è staccata in diversi punti. Non ci sono tappeti.

 

Venerdì, 1° marzo 2019

 

Sono arrivati gli articoli che ho acquistato allo spaccio della prigione, ma gli orologi economici che vendono erano esauriti. Ho la possibilità di controllare l’ora alla tv, ma mi manca pur sempre l’orologio.
Oggi è stata una giornata più tranquilla, con meno colloqui dall’inizio del trantran giornaliero. Sono stato svegliato solo dalle guardie alla porta della cella alle 6,30, da quanto bene dormivo. Accanto al letto c’è una lunga finestra di vetro o plastica opaca, con delle sbarre, grande all’incirca otto piedi per due. Ovviamente è sprovvista di persiane o tende, e così è possibile seguire il corso del giorno e della notte.
Sono arrivati i miei vestiti, molti dei quali inutilizzabili nel contesto della prigione, tre libri e due numeri di Spectator. Ho restituito la mia Bibbia di Gerusalemme, perché suor Mary me ne aveva già fatta avere una. Dato che mi erano concessi sei libri e sei riviste, al posto della Bibbia speravo di ricevere Per la cruna di un ago di Peter Brown, sulla ricchezza nella Chiesa antica. Sono riuscito ad avere una copia dell’Herald Sun dallo spaccio della prigione in cui ho letto che Richter è stato costretto a scusarsi per la sua uscita sul presunto abuso che aveva definito come una “normale penetrazione sessuale”, cosa a cui non avevo fatto caso. La maggior parte delle lettere indirizzate al direttore metteva in dubbio o si opponeva al verdetto della giuria, e Paul e Kartya, venuti insieme a farmi visita, hanno sottolineato che in Australia non si assisteva a un simile dibattito sulla legittimità di un verdetto dal caso di Lindy Chamberlain.

 

E’ strano non celebrare la messa tutti i giorni, anche se non ho altre incombenze che possano distrarmi dalla mia preghiera quotidiana. Deve esserci un detenuto musulmano vicino alla mia cella, perché la sera lo sento pregare. A quanto pare, ci sono detenuti in isolamento che provengono dalla droga “ice” [cristalli di metanfetamina]. E di certo, alcuni hanno problemi psichiatrici.

 

Ho fatto un po’ di esercizio fisico un paio di volte, per una mezz’ora, nella calura del pomeriggio, la seconda volta in una nuova area destinata agli esercizi, un po’ più pulita e più luminosa della prima. Dopo aver camminato avanti e indietro per venticinque minuti con il bastone, ora sono contento di riposarmi.

 

Nella seconda sessione di esercizi, l’energico capo della Segs, che mi aveva portato qui in manette, è venuto a dirmi che la sua sezione avrebbe perquisito la mia cella ogni mese e che mi avrebbe accompagnato in tribunale per il verdetto. Dopo avergli mostrato i leggeri lividi al polso sinistro, gli ho chiesto se la prossima volta avrebbero potuto tenermi le manette più larghe. Mi ha risposto di sì, ma che le manette sarebbero state attaccate a una cintura e che il cellulare sarebbe stato diverso! Tutto questo perché facevo parte di una categoria speciale. Un uomo corretto, ma che non sprizzava certo simpatia.

 

Scrivo di sera, e mi propongo di farlo regolarmente. Sto iniziando a sviluppare una certa routine: inizio con la recita del Breviario, seguita poi nel corso della mattinata da una meditazione sulla Lettera agli Ebrei, una delle mie preferite. Decisamente cristocentrica dal momento che Paolo (o un suo discepolo, o un suo imitatore) mostra che Cristo incarna la promessa delle Scritture ebraiche.
Le mie tre sedie di plastica sono state sostituite da una meravigliosa e più alta sedia ergonomica, che una volta mi era stata consigliata in ospedale.

 

C’è un po’ di confusione sugli orari delle visite. Non il sabato e la domenica, come indicato sull’elenco, ma il lunedì e il giovedì. Ho prenotato per lunedì 4 marzo alle 13,00 per tre persone. Non sono sicuro che David possa farcela.

 

E’ curioso come ci siano persone, da Ruth fino al personale della prigione, che cercano di spiegarmi che in questa situazione la fede mi sarà di grande aiuto. Il mio primo istinto è quello di rispondere bruscamente che lo sapevo già, ma tali commenti vogliono soltanto essere una forma di gentilezza nei miei riguardi, ed è interessante – e per certi versi commovente – che provengano da persone che non hanno fede. Sono autentici.

Dio nostro Padre, prego per quanti sono rimasti coinvolti negli incendi del Gippsland; e per tutti i detenuti di questa prigione, alcuni di loro disperatamente infelici, altri senza fede e speranza. Prego anche per tutto il personale della prigione, che la gentilezza e la dignità dimostratami possano essere la norma e che non si ricorra mai alla violenza, alla rabbia e al disprezzo nemmeno per il peggiore dei detenuti.

 

Sabato, 9 marzo 2019



Ho ricevuto circa un centinaio di lettere da quando sono arrivato qui alla Melbourne Assessment Prison (MAP), e la maggior parte negli ultimi tre giorni. Circa una dozzina provengono da miei compagni detenuti. Ho risposto a due di loro, uno dei quali si è rivolto a me in latino.

 

Molti hanno aggiunto poesie e preghiere, spesso bellissime da ogni punto di vista, e quasi sempre espressione della profonda fede del corrispondente nella passione e nella morte di Gesù. Naturalmente, mi sento a disagio e in imbarazzo a essere paragonato al Signore; come pure a Thomas More o a Giovanni Battista (l’alternativa è stata proposta da una coppia, marito e moglie, che mi ha scritto). Non ricordo chi abbia menzionato John Fisher, il quale è stato scalzato da More quanto a popolarità dopo Un uomo per tutte le stagioni di Robert Bolt, e ora anche quanto a notorietà dopo i due romanzi di Hilary Mantel. Porterà mai a termine il terzo volume, in cui il suo “eroe”, Thomas Cromwell, fa una brutta fine? Si potrebbe quasi dire che ha ricevuto ciò che si meritava da quel mostro immorale di Enrico VIII. Quante morti, soprattutto tra coloro che più gli erano vicini!

 

La mia situazione ha gravi ripercussioni sulla Chiesa, soprattutto in Australia ma non solo, a causa della mia difesa nei confronti di un “Cristianesimo della crocifissione”. Non c’è dubbio che il mio conservatorismo e la difesa della morale giudaico-cristiano abbiano reso più acuta l’ostilità dell’opinione pubblica nei miei riguardi, soprattutto tra i laicisti militanti. Credo nella Divina Provvidenza; non ho scelto io questa situazione, anzi, ho lavorato sodo per evitarla. Ma eccomi qui, e devo sforzarmi di compiere la volontà di Dio. Il cardinale Sin di Manila, un formidabile uomo di Chiesa, oppositore di Marcos, e un grande showman (“Benvenuti nella casa di Sin”), diceva sempre di essere come l’asino sul quale era montato Gesù a Gerusalemme, di cui si fa memoria nella Domenica delle Palme. Non mi dispiace un simile paragone per il mio “io” mediocre; fedele nella preghiera e nei miei doveri, una volta onerosi, ma spiritualmente piuttosto ordinari. A volte Dio sceglie in modo strano. Sono preso in una lotta tra il bene e il male. Ultimamente, me ne sto rendendo sempre più conto. Una mia amica, un’anziana accademica, era presente in aula quando la giuria ha pronunciato il verdetto di colpevolezza (il momento peggiore della sua vita, ha detto). E’ una vera credente, cattolica, per niente misticheggiante, ma mi ha confidato che tra la giuria e in aula aveva percepito la presenza del male. Io invece non l’ho percepita, perché ero troppo sconvolto. Proprio tutti, opinionisti compresi, continuavano a sostenere che in base alle prove non avrei potuto essere condannato. Tra l’altro, lo aveva detto anche il magistrato.

 

Una suora domenicana di Ganmain mi ha mandato una copia scritta a mano della bellissima poesia di James McAuley, In a Late Hour, scritta penso per Bob Santamaria. La conosco bene. McAuley dichiara la propria fedeltà al Signore, la sua semplice gratitudine nei suoi confronti. Non sono convinto che l’Antiregno abbia vinto, però “è qui”, giusto per usare una sua espressione. Ancor più che ai suoi tempi, in molti hanno perso “il senso della natura”. Oggi “dalle ferite emergono profondi rancori” e faccio mia la sua preghiera: “Non ti lascerò andare fino a che il mistero non sarà compiuto”. McAuley è il mio poeta australiano preferito e il più grande (mi perdoni Les Murray).

 

Una donna di Thurgoona mi ha inviato una copia del testo di Siracide 2,1-11 tanto raccomandato del vescovo Columba Macbeth-Green. Non ricordavo questo passaggio che parla degli eletti provati nel fuoco e nel crogiuolo del dolore. Esattamente la situazione che sto sperimentando. Prosegue spedita la lettura di Giobbe nel Breviario (dato che il volume di Quaresima e Pasqua non è ancora arrivato): Mi uccida pure, non me ne dolgo; voglio solo difendere davanti a lui (Dio) la mia condotta (Gb 13,15). Accusa Dio di perseguitarlo: spii tutti i miei passi e ti segni le orme dei miei piedi. Intanto io mi disfò come legno tarlato (Gb 13,27-28). Egli riconosce la superiorità di Dio e chiede di essere lasciato in pace.

 

E’ stata una giornata tranquilla, la più tranquilla, nessuna uscita dopo pranzo, di alcun genere. Ho pulito la cella con scopa, disinfettante e stracci, e ho seguito la corsa dei cavalli da Flemington e Randwick. La sera, ho girato sulla Sbs per un documentario sul Marocco e sul restauro del Big Ben. Ho recitato l’Ufficio dei morti per l’anima di Mike Willesee.

 

Signore Gesù mio, ti prego di riuscire a comportarmi come devo man mano che andiamo avanti in questo pasticcio, così che la tua volontà e quella del Padre non siano adombrate dalla mia debolezza, malvagità o mancanza di saggezza. Ti prego, inoltre, in modo speciale per tutti coloro che pregano per me, molti di loro, se non tutti, portano le proprie croci, piccole o grandi.

 

Mercoledì, 20 marzo 2019

 

Una giornata insolita, anche se alla fine piuttosto simile a un giorno normale. A colazione, la guardia mi ha informato – e già avevo sentito che spiegava la questione al mio ignoto vicino (non ho visto nessun altro detenuto in questa sezione da dodici) – che oggi tutto il penitenziario sarebbe stato chiuso e messo in quarantena. L’ho ringraziato per avermi informato, e ho pensato che questo sarebbe andato bene a gran parte dei detenuti, se cioè avessero dovuto rimanere di nuovo nelle loro celle tutto il giorno.

 

Sorprendentemente, alle 11,30, mi hanno chiesto se volessi fare una passeggiata perché nella nostra sezione, dove nessuno aveva l’influenza, avevano revocato il divieto. La mia tosse stava diminuendo e stava diventando secca. Certo, mi ha fatto piacere uscire per trentacinque minuti, anche se i telefoni erano stati scollegati. Ieri avevo camminato sul posto ogni ora o due per un centinaio di passi, il che non è proprio la stessa cosa del potersi muovere, anche se lo spazio adibito è limitato e sporco. Faceva caldo, perciò mi sono tolto il cardigan, e anche se era nuvoloso era comunque bello stare all’aperto. La giacca della mia uniforme ha bisogno di una lavata (mi è stato promesso il bucato domani), perciò ho indossato la mia camicia bianca e blu a maniche lunghe sotto il vecchio cardigan blu scuro. Devo dire che il cambio mi ha fatto stare un po’ meglio.

 

Circa una settimana fa, una delle suore domenicane di Ganmain, che era stata fisioterapista, mi ha detto di non dimenticare di tenere in esercizio la parte superiore del corpo. Non avevo fatto nulla, ma poi ho iniziato una semplice routine. Altre venticinque o trenta lettere, comprese quelle meravigliosamente lunghe di Rebecca e Georgie, e un paio di pagine inattese di Margaret. Georgie mi ha proposto diversi suggerimenti e un quiz, quindi dovrò fare i compiti prima della visita di lunedì.

 

Le lettere sono ovviamente incoraggianti, molte danno prova di una fede davvero profonda. Un vero tonico. Alcuni mi ringraziano per le misure che ho preso per cercare di rafforzare la fede in seno alla comunità, e sono grato che si abbia consapevolezza di ciò e che siano state individuate le diverse particolari iniziative. Dio le fa crescere, ma l’inizio era mosso da un’intenzione buona e – ne sono profondamente convinto – coerente e in sintonia con le uniche strategie in grado di far crescere. Abbiamo sperimentato gli anni della carestia e la preghiera, l’ortodossia e la fedeltà non sono sufficienti per garantire una vera crescita. In ogni caso, dobbiamo restare uniti alla vite, perché non ci può essere vitalità autentica senza fede, preghiera e sacrificio.

 

Troppe persone, compresi alcuni vescovi, sono eccessivamente accomodanti, e alcuni non sanno nemmeno dove si stia combattendo la battaglia. Rientrano in questa categoria anche certi responsabili del prossimo Concilio Plenario della Chiesa Cattolica in Australia del 2020. Se le cose vanno male, il Concilio potrebbe portare a una nuova deriva verso qualcosa come la grave crisi che si è avuta in Quebec, Olanda, Belgio. Ma i giovani sacerdoti e le giovani religiose (dove presenti) sono fedeli, innamorati della preghiera e sanno dove si gioca la partita decisiva. Inoltre, anche i più piccoli gruppi di giovani adulti che si dedicano con regolarità all’adorazione sono straordinariamente fedeli e attivi nella preghiera.

 

La situazione di oggi è quasi l’opposto di quella che si aveva dopo il Concilio Vaticano II, quando tutti noi, giovani sacerdoti e religiosi, eravamo “progressisti”, impegnati nelle riforme conciliari, quando poi lentamente sono emerse le differenze tra coloro che si erano impegnati a seguire il dettato dei documenti conciliari e coloro che invece guardavano a quei testi come a semplici compromessi da utilizzare come trampolino di lancio per altre e “migliori” opzioni. Trentamila uomini hanno abbandonato il sacerdozio, e in numero ancora maggiore i religiosi. Ratzinger, de Lubac, Daniélou, von Balthasar hanno esplicitato l’opzione tra continuità o rottura.

 

Un corrispondente mi ha scritto che le misure che ho introdotto le hanno salvato la vita. Deo gratias. Mi ha scritto anche Jim Wallace, e non è stato molto lusinghiero nei confronti del nostro sistema giudiziario.

 

La meditazione di questa mattina è stata un po’ un disastro, perché mi sono appisolato per due terzi del tempo che avevo previsto e poi per altri venti minuti. Il mio ricordo è nebuloso, ma penso al “Piccolo Fiore”, Santa Teresa di Lisieux, la quale diceva che il sonno è una preghiera “valida” se c’è la buona intenzione, anche se la carne è debole.

 

Una signora ha avanzato l’ipotesi che il Signore mi stia facendo riparare per McCarrick, che avevo incontrato molte volte. Sarei felice di poter offrire un piccolo contributo al riguardo, perché ha fatto molti danni, diventati poi ancor più gravi in seguito agli insabbia menti e al loro venire a galla dopo le dimissioni di Papa Benedetto. Sperava anche che non fossi trattato male come lo fu san Giovanni della Croce, quando i suoi confratelli lo misero in prigione. Non vengo trattato male.

 

Ciò mi fa venire in mente una conversazione che ho avuto con padre Kolvenbach, Superiore Generale dei Gesuiti, dopo che nel 1993 o 1994 ebbi uno scontro in televisione con il Provinciale australiano [padre William Uren] sulla magnifica enciclica morale di san Giovanni Paolo II, Veritatis Splendor. Almeno, dicevo a Kolvenbach, non sono come san Carlo Borromeo, riformatore e arcivescovo di Milano del XVI secolo, che è stato vittima di un tentativo di omicidio da parte di alcuni religiosi nella sua Arcidiocesi. “Non ancora”, ha risposto. Straordinario linguista, Kolvenbach era un peso massimo intellettuale, morale e, credo, spirituale, degno di guidare i Gesuiti, anche se mi sono meravigliato per un paio di sue sparate. Quello che è certo è che a Roma, generalmente, e non in assoluto, non si ha più questa intellettuale raffinatezza.

 

Ho visto in televisione, sulla Sbs, che il Santo Padre non ha accettato le dimissioni del Cardinale Barbarin, perché Barbarin ha fatto ricorso in appello.

 

Caro Gesù, aiutami a essere caritatevole nei miei giudizi, onesto e preciso; ma caritatevole. Benedici coloro che stanno lavorando alacremente per il rinnovamento evangelico, e concedi il dono del discernimento a quelle brave persone che hanno buone intenzioni ma che non riescono a vedere con chiarezza. “Crea oasi di silenzio (orante) in questa terra assetata”.

 

Venerdì, 29 marzo 2019
 


La strategia che ho adottato per sopravvivere e far fronte a questa situazione è mutata e migliorata. Il tornare a letto per sonnecchiare o riprendere a dormire dalle 6,00, l’ora della medicina, fino alle 7,15, quando suona la sirena, è diventata una parte importante del rito di tutti i giorni. Mi hanno detto che una penitenza tipica dell’Opus Dei consiste nel balzare fuori dal letto non appena svegli, a me però è sempre piaciuto starmene a letto altri cinque minuti.

 

Il mio libro di Sudoku ha 250 rompicapo e cerco di completarne due ogni giorno, prendendone uno più o meno a circa un terzo del libro, perché sembra che man mano che si avanza diventino progressivamente sempre più difficili. Non volevo completare tutti quelli facili per poi essere condannato a una frustrazione perpetua, nelle ultime settimane prima del ricorso in appello, perché non sarei stato più in grado di risolverne alcuno. Sono però migliorato, riesco a risolverli entrambi quasi ogni giorno. A volte li alterno, e risolvo il Sudoku “molto facile” dell’Herald Sun del lunedì, del mercoledì e del venerdì, l’unico giornale qui consentito. All’inizio, non senza un certo imbarazzo, facevo fatica anche con il livello “molto facile”.

 

Continuo a fare esercizio fisico due volte al giorno per mezz’ora in una dei due orribili cortili. Oggi ho chiesto alla guardia se potesse darmi una scopa per pulire il cortile più piccolo e ha acconsentito. Ci ho pensato un po’ su, perché mi sono chiesto se tale richiesta avrebbe creato problemi. Comunque, ormai è fatta, e non si tratta tanto di un gesto di altruismo, ma di un piacere che faccio a me stesso, dal momento che è un posto piuttosto deprimente. Cercherò di dare una pulita anche al secondo cortile domani, o appena sarà possibile. Verso le 15,45, quando ero all’aperto, si sentivano gli uccellini cinguettare nelle vicinanze, questa è soltanto la seconda volta che riesco a sentirli, e si riuscivano a sentire anche i gabbiani. Nell’area dedicata agli esercizi è consentito l’uso del telefono; oggi, infatti, ho provato a contattare l’Arcivescovo Fisher, ma ho sentito la receptionist dell’ufficio presso il Polding Centre terminare la chiamata. Al telefono non sono mai stato un grande oratore, e ho iniziato a usare il cellulare solo da quando ho fatto ritorno a casa un paio d’anni fa. Naturalmente, tutte le chiamate vengono controllate.

 

Possiamo ordinare un po’ di tutto tre volte a settimana presso lo spaccio, e così ho il mio Lipton, le bustine di camomilla, due tavolette di cioccolato al latte Cadbury (solo quattro pezzettini al giorno), il dentifricio, lo shampoo e persino la crema per la pelle Vaseline. Non si può dire un lusso, ma sono piccole benedizioni. Sono abbastanza “attaccato” al mio bollitore e al televisore. Nel Seminario di Werribee, dove ho iniziato gli studi in preparazione al sacerdozio cinquantanove anni fa, ci esortavano a non diventare troppo dipendenti, “troppo attaccati” alle cose. Certo, potrei resistere anche senza bollitore o senza la tv, ma spero non sia necessario. La vita, spesso, offre strane e gradite consolazioni.

 

Faccio mio, senza problemi, un versetto del Salmo 68 del Breviario di oggi: Chi spera in te, a causa mia non sia confuso, Signore, Dio degli eserciti;per me non si vergogni chi ti cerca, Dio d’Israele.

 

Per tutto questo, “Amen”.

 

Ho continuato la mia meditazione quotidiana sul Libro dell’Apocalisse, il racconto di una serie assurda di disastri, costellata da alcuni istanti di pura mistica, come la moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua, che adorava e lodava Dio davanti al trono dell’Agnello (Ap 7,9); i centoquarantaquattromila eletti sul monte Sion (Ap 7,4); e la donna che stava per partorire vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle (Ap 12,1). Ma alla base di questi episodi di trionfo c’è l’esercizio della giustizia divina, quando cioè l’Agnello aprì i sette sigilli davanti a miriadi di miriadi e migliaia di migliaia di angeli (Ap 5,11) e i sette angeli con sette trombe diffondevano l’ira di Dio sulla terra, ma risparmiando coloro ai quali era stata data una veste resa candida col sangue dell’Agnello (Ap 7,14).

 

Che dire di tutto ciò? Questo libro è anch’esso parola di Dio rivelata, e dunque non può essere accantonato o rifiutato a cuor leggero, perciò siamo costretti a confrontarci con esso cercando di comprenderlo nella misura del possibile.

 

In via preliminare, possiamo individuare due spunti di riflessione. Il soprannaturale è parte integrale della dottrina cristiana, e quando il Cattolicesimo viene ridotto a un’istituzione agnostica che si occupa del sociale, si tradisce la Tradizione, i fedeli scompaiono e il loro esodo si fa sempre più rapido. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra? (Lc 18,8): è il versetto del Nuovo Testamento che più di ogni altro fa riflettere.

 

Cristo ha parlato di una vita dopo la morte, piena, bellissima o terribile, che va decisamente al di là delle nostre limitate capacità intellettive, e il Libro dell’Apocalisse ci introduce a questo viaggio immaginifico. Il paradiso non sarà simile a una meritata vacanza durante il periodo natalizio, e nemmeno a un lunghissimo viaggio in luoghi esotici quando si va in pensione. Gesù ha parlato molte volte del paradiso e dell’inferno, e quando verrà l’Ultimo Giorno Dio non avrà un atteggiamento inclusivo, [ma] separerà le pecore dai capri.

 

Un secondo spunto di riflessione a partire dall’Apocalisse consiste nel fatto che la vita è una lotta tra il bene e il male e nessuno può evitarla. Cade la Grande Babilonia, dimora dei demoni e rifugio di ogni spirito impuro; in cielo era scoppiata una rivolta, Michele e i suoi angeli combattevano, e noi troviamo qui questo drago rosso con sette teste e dieci corna che prova invano a divorare il bambino della donna vestita di sole, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro (Ap 12).

 

Un ateo preconciliare avrebbe detto che l’unico dogma cristiano che avrebbe potuto accettare era la dottrina sul peccato originale, ossia che il cuore di ogni essere umano come pure la struttura stessa della società sono difettosi, siamo tentati dal male anche se aspiriamo al bene e al bello.

 

Le “battaglie culturali”, che stiamo perdendo, tra i popoli di lingua inglese non sono un’invenzione recente. L’Apocalisse è stata scritta quasi 1.900 anni prima dell’invenzione della pillola contraccettiva. Molti di noi ambiscono a una vita tranquilla, alcuni non riescono a conseguirla, ciascuno però deve scegliere da che parte stare. Non si può evitare di combattere.

 

Signore Gesù, aiuta tutti noi a scegliere il Padre tuo, attraverso la tua sequela e i tuoi insegnamenti stando nella tua comunità e a deciderci per verità, bontà e bellezza.

 

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