Roma. Che la “questione cinese” fosse complicata e lungi dall’essere risolta con l’accordo provvisorio relativo alla nomina dei vescovi siglato nel settembre del 2018, era chiaro fin dall’inizio. Soprattutto perché di quell’intesa non si conoscevano – né si conoscono ora – i punti caratterizzanti e le clausole. Nessun mistero: gli accordi, se segreti, funzionano anche così. Lo insegna la storia della diplomazia. Di certo la resistenza di una parte della chiesa è stata forte, a cominciare dal cardinale Joseph Zen, vescovo emerito di Hong Kong, che fin dal principio ha contestato quello che riteneva essere un appeasement, un cedimento totale al regime comunista di Pechino, che continuava imperterrito a sequestrare presuli e a demolire chiese e croci perché ree di deturpare lo skyline di qualche megalopoli locale. Zen ha parlato liberamente, da sempre: è venuto più volte a Roma, è stato a cena con il Papa, gli ha spedito lettere. Ma è anche andato oltreoceano, in America, e lì – soprattutto lì – non ha risparmiato critiche e accuse al segretario di stato, il cardinale Pietro Parolin, primo imputato per l’accordo stretto con Xi Jinping. Accuse di tradimento che lambivano anche lo stesso Pontefice, che mai avrebbe risposto alle missive speditegli da Hong Kong. La risposta vaticana è giunta con una irrituale lettera inviata a tutti i cardinali firmata dal nuovo decano del Collegio cardinalizio, Giovanni Battista Re, datata 26 febbraio e protocollata come il primo atto del porporato nel nuovo incarico. La lettera, diffusa in Italia dalla Nuova bussola quotidiana, è molto dura nei confronti di Zen, che a sua volta aveva scritto a tutti i cardinali a settembre. Re imputa al vescovo emerito di Hong Kong di aver “contestato la stessa guida del Santo Padre anche nei confronti dei cattolici ‘clandestini’, nonostante che il Papa non abbia mancato di ascoltare ripetute volte l’em.mo cardinale e di leggere le sue numerose missive”. Zen, infatti, in un’intervista concessa il 24 ottobre del 2018 al New York Times, aveva invitato i cattolici ad “attendere tempi migliori, tornate alle catacombe, il comunismo non è eterno”. Affermazioni “purtroppo molto pesanti”, a giudizio del decano. Il vescovo cinese aveva anche parlato di “uccisione della chiesa in Cina da parte di chi dovrebbe proteggerla e difenderla dai nemici”, frase grave che ha meritato la sottolineatura di Re.
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