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Chiedere scusa “non è abbastanza”. Dai reati sessuali alla neolingua

Maurizio Crippa

Tutte le religioni compiono abusi sessuali, perciò lo stato deve reprimere. Il caso Irlanda come paradigma universale anti religioso. Il passo avanti di Polly Toynbee

Milano. Tra i vantaggi di un’epoca ritornata ideologicamente barbarica c’è che si fa prima. Si prende il Principio di Giustizia Supremo corrente, oggi è l’abuso sessuale in tutte le sue forme, e tutto ciò che è al di là o sul confine della norma viene messo sotto il controllo dello stato e della legge. “Ovunque le persone siano sottoposte al potere di preti, imam e leader spirituali, lo stato ha il dovere di ispezione di ciò che accade a bambini e donne tenuti, in una condizione non trasparente, sotto il loro potere. La lezione irlandese è meno rispetto per la religione, e più istintivo sospetto”. E’ la conclusione di un intervento di Polly Toynbee, columnist del Guardian paladina dell’ateismo radicale versione leftist, che in un articolo di qualche giorno fa ha per così dire chiuso il cerchio, o la porta della galera, di un lungo ragionamento. L’articolo si intitola “La cultura del rispetto per la religione è andata troppo oltre” e prende spunto dal viaggio di Francesco in Irlanda, ma soprattutto del “magnifico assalto” sferrato al cattolicesimo irlandese e al passato culturale del paese, considerato come un vischioso tutt’uno con la prevaricazione morale della chiesa, dal Taoiseach Leo Varadkar. In sostanza, i fallimenti “sia della chiesa che dello stato” e la loro “eredità di pena e sofferenza”. Poiché il Guardian è una community aperta e reattiva, ieri erano disponibili online i molti commenti all’articolo di Toynbee e come accade sempre la cifra ideologica dei lettori era anche più rancorosamente giacobina di quella della columnist. 

 

L’aspetto che distingue l’intervento di Polly Toynbee da altri analoghi è il passo in più compiuto rispetto al combinato disposto di denuncia e tolleranza zero che è il paradigma giuridico e sociale di riferimento per tutto ciò che riguarda i cattivi rapporti tra sesso, abuso e religione. Toynbee fa un passo avanti verso la definizione di nuovi poteri dello stato. Uno stato che rischia di essere inteso come Volontà generale. “Il rammarico non è solo per le vittime dei mostruosi abusi dei preti, ma per un’intera società schiava dell’oppressione clericale: vite schiacciate, oppresse senza possibilità di scampo dalla dominazione totale della chiesa”.

 

L’Irlanda, dove sono accadute evidentemente molte orribili cose, ma che difficilmente può essere assimilata in quanto tale, nella sua storia e in quella della sua chiesa – e persino nel portato culturale e antropologico della sua possente immigrazione – viene trasformata, nella narrazione della neolingua universale del sessualmente corretto cui sia il Taoiseach Varadkar che Toynbee appartengono, nell’esempio perfetto di tutto ciò che è condannabile e va eradicato dalla civiltà. Non sono i peccati, i reati, gli abusi e gli orrori ad essere messi in causa, non basta emendarsi per quelli, è proprio la concezione generale che va distrutta, “il feticismo del celibato”, “morbosa ossessione per il sesso” a dover essere gettati via. E in ogni caso, “no apology is enough”.

 

Ma il passo più interessante di Toynbee è ancora un altro, a ben osservarlo un passo indietro nella storia, nell’ateismo di stato e nella negazione di autonomia delle religioni. Poiché tutte le religioni possono essere tane per abusatori e consimili, e i seminari uguali alle madrasse, alle scuole ebraiche, ai templi e alle moschee, l’unica soluzione è sottoporre le religioni tout-court al controllo occhiuto, o al divieto, o all’espulsione dal perimetro della società da parte dello stato. “Le religioni sono più propense agli abusi che altre istituzioni?”, si chiede. Nessuno lo sa, ammette laicamente la columnist, ma sottintendendo che la possibilità esiste ed è insita nella natura stessa di ciò che pertiene al canone religioso, occidentale o meno che sia. Perciò, nel caso: sospettare e punire.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"