Dov'è finito il voto cattolico
Dall’immigrazione al lavoro, l’orientamento della chiesa per le elezioni è stato tradito dai fedeli. E’ possibile recuperare il terreno perso? Girotondo fogliante
Ricostruire la speranza, ricucire il paese e pacificare la società. Erano queste le tre direttrici che il Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana aveva tracciato nell’ultima riunione prima delle elezioni politiche dello scorso 4 marzo. Un trionfo delle formazioni estreme e populiste rappresentava l’opzione meno gradita, seppure i vescovi non avessero dato alcuna indicazione ufficiale. Il voto, espresso nell’urna, ha poi certificato un netto scollamento tra la linea della chiesa su questioni di primaria rilevanza quali l’immigrazione e il lavoro – accoglienza e rifiuto del reddito di cittadinanza sono punti fermi per la Cei – e le scelte dell’elettorato cattolico, che in misura non irrilevante ha premiato proprio le ali estreme, il Movimento 5 stelle da una parte e la Lega dall’altra.
Il Foglio ha chiesto a varie personalità il motivo di questa distanza che appare sempre più profonda e se sia davvero realizzabile quella “terza via” tra il collateralismo e il rischio di irrilevanza di cui ha parlato la scorsa settimana l’arcivescovo Bruno Forte in un’intervista al Corriere della Sera.
Sergio Belardinelli, ordinario di Sociologia dei processi Culturali e comunicativi, Università di Bologna
Daniele Menozzi, ordinario di Storia contemporanea alla Scuola Normale Superiore di Pisa
Luca Diotallevi, ordinario di Sociologia, Università di Roma Tre
Massimo Introvigne, sociologo, direttore del Cesnur (Centro studi sulle nuove religioni)
il voto negli stati uniti