Una riunione della Cei (foto LaPresse)

La Cei non batte più un colpo

Redazione

L’attesa relazione dopo il voto del 4 marzo si risolve solo in una presa d’atto

La colonna sonora adatta da usare in sottofondo mentre si leggono le conclusioni del Consiglio permanente della Cei stilate dal cardinale presidente Gualtiero Bassetti è il Dies irae verdiano. Andrebbe bene anche un Requiem, considerata l’atmosfera fosca tratteggiata: “Siamo alle prese con la coda di un inverno che potrebbe farci dubitare della buona stagione”, “i segni dell’inverno parlano nella paura del futuro”, “spira un vento gelido”, “c’è inverno nella disaffezione profonda e diffusa”, e così via. Il tema centrale, e non poteva essere altrimenti, è quello delle elezioni politiche dello scorso 4 marzo, che hanno marcato una certa distanza tra quanto la chiesa predica e ha predicato su temi fondamentali e decisivi, come ad esempio l’immigrazione e il lavoro. I vescovi ammettono che “non ci sono facili soluzioni” e comunque “la via non può risolversi nella scorciatoia di promesse di beni materiali da assicurare a tutti né dalla ricerca di volta in volta di un accordo sul singolo problema”. Quel che serve è “una visione ampia, grande, condivisa, un progetto-paese che, dalla risposta del bisogno immediato, consenta di elevarsi al piano di una cultura solidale”. Ci si aspettava qualcosa di più dalla Conferenza episcopale italiana, che magari riprendesse le parole equilibrate ma chiare pronunciate dall’ex presidente Bagnasco nell’intervista concessa ieri al Foglio. Invece la Cei si è limitata a ripetere quanto delineato a gennaio nell’ultimo Consiglio permanente, quando si auspicò tra le righe un esito elettorale ben diverso da quello poi emerso. E invece, leggiamo oggi che “il 4 marzo gli italiani hanno votato. I partiti oggi hanno non solo il diritto, ma anche il dovere di governare e orientare la società”. Osservazione che non può che trovare d’accordo l’uditorio.

 

“Per questo – si prosegue – il Parlamento deve esprimere una maggioranza che interpreti non soltanto le ambizioni delle forze politiche, ma i bisogni fondamentali della gente, a partire da quanti sono più in difficoltà”. Non c’è alcun uomo sulla terra che potrebbe essere in disaccordo. E ancora, “si governi, fino a dove si può, con la pazienza ostinata e sagace del contadino, nell’interesse del bene comune e dei territori”. Il popolo italiano “ha bisogno di fraternità e di amore. Tutti ne abbiamo bisogno. Chi è disponibile a misurarsi su questi orizzonti ci troverà a camminare al suo fianco”. Forse timorosi di essere tacciati come fautori di un nuovo collateralismo, i vescovi si sono limitati a prendere atto di un esito elettorale che ha sconvolto gli equilibri politici italiani come mai era accaduto almeno nell’ultimo quarto di secolo. Va bene la citazione di De Gasperi “sull’odio della demolizione e della vendetta” che caratterizzò la campagna elettorale del 1953, ma se la chiesa in Italia vuole davvero ritagliarsi un ruolo che non la confini nell’irrilevanza, avrebbe bisogno di ben altro che cupe riflessioni sulla coda invernale sì inaspettata.

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