Alle esequie del cardinale Biffi erano presenti i cardinali Bagnasco e Tettamanzi

Cardinali pochi, fedeli tanti. Anche il Paradiso di Dante per l'addio a Biffi

Matteo Matzuzzi
La cattedrale di San Pietro era gremita di fedeli, ieri mattina, per le esequie del cardinale Giacomo Biffi, scomparso sabato e per un ventennio arcivescovo della “sazia e disperata” Bologna che lo accolse dopo l’improvvisa morte di Enrico Manfredini, vescovo da pochi mesi, nel 1984.

Roma. La cattedrale di San Pietro era gremita di fedeli, ieri mattina, per le esequie del cardinale Giacomo Biffi, scomparso sabato e per un ventennio arcivescovo della “sazia e disperata” Bologna che lo accolse dopo l’improvvisa morte di Enrico Manfredini, vescovo da pochi mesi, nel 1984. Meno gremita lo era invece di vescovi e – soprattutto – di cardinali italiani. Solo due i porporati presenti: il presidente della conferenza episcopale, Angelo Bagnasco, e l’arcivescovo emerito di Milano, Dionigi Tettamanzi (giunto a Bologna a titolo personale). Gli altri, assenti a vario titolo. L’arcivescovo in carica,  capo della diocesi in cui Biffi è nato, cresciuto e s’è formato come teologo, prete e vescovo, Angelo Scola, ha mandato un delegato nella persona dell’ausiliare Pierantonio Tremolada. Sedici i vescovi concelebranti, tra cui il novantunenne Luigi Bettazzi, che non ha ritenuto ostacolo insormontabile alla presenza in cattedrale la cappa di afa e umidità che avvolgeva Bologna. Ha citato il Paradiso di Dante, il cardinale Carlo Caffarra nella concisa omelia, quando ha ricordato che “il vescovo Giacomo amava profondamente ‘la bella Sposa, che s’acqusitò con la lancia e coi clavi’". Sentiva, ha aggiunto Caffarra, “come una sorta di gelosia – una ‘gelosia mistica’, dirà poco dopo – perché la sposa non guardasse con desiderio altri all’infuori di Cristo. Egli amava ripetermi di non fare alcuna fatica a osservare il nono comandamento, poiché la sposa che il Papa gli aveva dato – la chiesa di Bologna – era così bella da non desiderarne altre”.

 

Biffi, ha osservato il suo successore in un passaggio dell’omelia scandito con particolare enfasi, “aveva un concetto molto alto del dialogo, e disprezzava profondamente chi lo praticava o come sforzo di ridurci tutti a un minimo comune denominatore o al perditempo della chiacchiera da salotto. In breve: il dialogo coincide con l’evangelizzazione”. A più d’uno, presente in cattedrale, sono tornate alla mente le polemiche (queste sì salottiere e scandalizzate) generate dalle esternazioni di Biffi lontane dal politicamente corretto, come il suo intervento a favore della dichiarazione ratzingeriana Dominus Iesus che provocò polemiche e proteste anche da vasti settori della chiesa cattolica. Intervenendo alle congregazioni generali antecedenti il Conclave del 2005, Biffi disse: “Mi è stato raccontato di un buon cattolico che ha proposto al suo parroco di fare una presentazione della Dominus Iesus alla comunità parrocchiale. Il parroco gli ha risposto: ‘Lascia perdere. Quello è un documento che divide’. Bella scoperta! Gesù stesso ha detto: ‘Io sono venuto a portare la divisione’. Ma troppe parole di Gesù oggi risultano censurate dalla cristianità; almeno dalla cristianità nella sua parte più loquace”. Nel 1999, aveva già lanciato l’allarme sulla “disavventura” cui stava andando incontro Gesù: “Oggi molti lo esaltano e dicono di stare con lui, ma poi gli cambiano addirittura le parole in bocca, gli fanno dire quel che vogliono loro. Quante volte veniamo a sapere di gente che impavidamente dichiara ‘secondo me Cristo ha detto così’, ‘secondo me Cristo ha fatto cosà’, senza nemmeno prendersi la briga di controllare sui testi. Ma il Vangelo non è un ‘secondo me’, è un ‘secondo lui’!”.

 

[**Video_box_2**]Biffi, ha detto ancora Caffarra ricordando un aspetto poco conosciuto del suo ministero, e cioè l’esercizio della carità, “aveva una grande venerazione della fede dei piccoli, dei semplici, e non permetteva che fosse minimamente vulnerata da sedicenti teologie”. Centrale, nell’omelia, la riflessione sulla “concentrazione cristologica” che ha caratterizzato l’esperienza terrena di Biffi, chiara anche negli ultimi tempi, quelli segnati dalla “lunga tribolazione della malattia”. “Non potrò mai dimenticare – ha detto l’arcivescovo di Bologna – il modo con cui accettò l’amputazione di una gamba. Il volto emanava serenità, pace, abbandono. La fede era diventata vita nel senso più profondo”. E questo modo di guardare la realtà “gli dava una grande libertà di giudizio sui fatti di oggi e del passato, anche dal punto di vista rigorosamente storico. E Dio solo sa – ha chiosato Caffarra – quanto oggi nella nostra chiesa italiana abbiamo bisogno di una fede capace di generare un giudizio sugli avvenimenti”. Una vocazione cristologica  che per Biffi era naturale: dopotutto, scrisse nelle “Memorie e digressioni di un italiano cardinale”, “il cristianesimo primariamente e per sé è un fatto, il fatto della morte, della risurrezione, della totale e perenne vitalità in atto di Gesù di Nazareth”.
 

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.