La diocesi di Milano, retta dal cardinale Scola, ha aperto un Ufficio per l'accoglienza dei fedeli separati (foto LaPresse)

Nullità matrimoniale, la strada pastorale che piace a (quasi) tutti

Matteo Matzuzzi
A Milano si anticipa quel che si potrebbe decidere al Sinodo.

Roma. La commissione speciale istituita  dal Papa il 27 agosto scorso chiamata a preparare “una proposta di riforma del processo matrimoniale, cercando di semplificarne la procedura, rendendola più snella e salvaguardando il principio di indissolubilità del matrimonio”, ha concluso i suoi lavori e trasmesso i risultati a Francesco, cui spetterà l’ultima parola. Ma il sentiero appare tracciato, si va verso uno snellimento dell’iter (attualmente assai lungo) che tra primo e secondo grado può durare anche diversi anni. La diocesi di Milano s’è portata avanti, e da poco ha istituito l’Ufficio diocesano per l’accoglienza dei fedeli separati. Oltre a fare da sportello per chi vive una crisi coniugale e ha necessità di adeguato accompagnamento, l’organismo avrà anche il compito di agevolare “laddove se ne diano le condizioni, l’accesso ai percorsi canonici per lo scioglimento del matrimonio o per la dichiarazione di nullità”. E’ un vecchio pallino del cardinale Scola, che su questo s’era soffermato anche in un lungo saggio pubblicato la scorsa estate sulla rivista Communio: “Dobbiamo considerare la situazione di chi crede in coscienza che il suo matrimonio non sia valido”, scriveva, aggiungendo che “diventa essenziale verificare rigorosamente se il matrimonio era valido e quindi indissolubile”. E questo perché oggi “non si può dare per scontato che i coniugi con la celebrazione del matrimonio intendano fare ciò che intende fare la chiesa” e “una mancanza di fede potrebbe condurre a escludere i beni stessi del matrimonio”.

 

Più che sulle questioni dottrinali che nel Sinodo straordinario hanno trovato un’adeguata arena di acceso dibattito, è sulla pratica concreta che si può delineare quella terza via che ha già fatto breccia in modo imponente nell’Aula Nuova per uscire dall’impasse. Già nella Relatio Synodi si legge infatti che “un grande numero di padri ha sottolineato la necessità di rendere più accessibili e agili, possibilmente del tutto gratuite, le procedure per il riconoscimento dei casi di nullità”. E tra le ipotesi già discusse c’è anche quella di determinare una via amministrativa sotto la responsabilità del vescovo diocesano”. In ogni caso, si aggiungeva, “si tratta dell’accertamento della verità sulla validità del vincolo”. Il punto, che Scola già aveva avanzato, è che va verificata la presenza di un “minimum fidei” per ritenere valido il matrimonio. Un minimum fidei che tanto volte si fa fatica a individuare tra cerimonie con addobbi sontuosi, fotografi a fare a gara per le postazioni migliori, bomboniere ricercate: “Non sembra azzardato credere che molti matrimoni celebrati in chiesa siano invalidi”, aveva osservato il cardinale Péter Erdo – assai in sintonia con Scola – poco prima del Sinodo di cui è relatore generale. E per la dichiarazione di nullità basterebbe poco: “Se uno dei coniugi si sposa con l’idea di divorziare se le cose non andranno bene, il matrimonio potrebbe essere annullato”, osservava padre Thomas Reese, già direttore della rivista America.

 


[**Video_box_2**]Affidare la decisione sulla nullità al vescovo accelererebbe le pratiche,“attenuerebbe la conflittualità tra le parti ed eviterebbe anche il ricorso alla Rota romana che è il terzo e ultimo grado di giudizio”, osservava su Famiglia Cristiana don Alessandro Giraudo, docente di Diritto canonico alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale. Già eliminando il secondo grado si dimezzerebbero i tempi. “Il Codice di diritto canonico dice che le cause di prima istanza non dovrebbero durare più di un anno, e quelle di seconda istanza non più di sei mesi. Ma la realtà, tranne alcuni paesi (tra cui l’Italia, ndr), non è questa”, notava il professor Héctor Franceschi, (ordinario di diritto matrimoniale canonico alla Santa Croce e collaboratore del portale Aleteia). Spiegata la teoria, il problema è metterla in pratica: “Bisogna trovare un equilibrio tra la durata dei processi e il rispetto della verità”, aggiungeva Franceschi. Anche per non far apparire lo snellimento una sorta di “escamotage” per risolvere la questione dei divorziati risposati, come premetteva l’arcivescovo di Milano alla sua proposta. Il Papa, come l’ha pensa l’ha già fatto sapere lo scorso novembre, incontrando i partecipanti a un corso promosso dalla Rota: “Quanta gente aspetta per anni una sentenza. Alcune procedure sono tanto lunghe o tanto pesanti che non favoriscono, e la gente lascia. Un esempio: il Tribunale interdiocesano di Buenos Aires, credo che in prima istanza abbia 15 diocesi; credo che la più lontana sia a 240 km… Non si può, è impossibile immaginare che persone semplici, comuni vadano al Tribunale: devono fare un viaggio, devono perdere giorni di lavoro (…). La madre chiesa deve fare giustizia e dire: ‘Sì, è vero, il tuo matrimonio è nullo; no, il tuo matrimonio è valido’. Ma giustizia è dirlo. Così loro possono andare avanti senza questo dubbio, questo buio nell’anima”.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.