Un'opera di Eva Macali

Occhio che guarda

Marianna Rizzini

I “Faccioni” in mostra, l’“N-capace” al cinema e il “teatro” a Cinque Stelle (con mistero Lombardi).

L’occhio non c’è, ma ti guarda. O forse l’occhio c’è a metà, tagliato lungo un cono d’ombra, e ammicca, ma non è occhio criptico di Gioconda: è l’occhio di uno dei “Faccioni”, le opere che l’artista Eva Macali espone (fino al 22 luglio, su appuntamento) al Centro Luigi Sarro (a cura di Roberto Gramiccia). Il primo faccione – volto enorme di donna, residuato di un’affissione pubblicitaria che potrebbe venire da Roma, da Londra, da Milano o da un altro pianeta, tanto è una, nessuna e centomila – accoglie il visitatore al primo piano di un palazzo del quartiere Prati. Chi è quella donna? Che cosa pensa? E perché l’occhio che l’artista le ha tolto dopo aver visto in sogno un’immagine simile, racconta Macali, rispunta nel faccione accanto – altra donna, altra visione – in un gioco continuo di rimandi ai miti del tempo moderno (pubblicità, ossessione per l’aspetto) ma anche al mito classico della dea che vede con l’occhio della mente? Man mano che i faccioni si susseguono davanti al visitatore profano – più grandi, più piccoli, più impertinenti, più raffinati – il labirinto di stanze diventa palcoscenico: le donne scomposte e ricomposte sul muro recitano ruoli diversi a seconda di chi guarda: inconsapevoli, consapevoli, smarrite, divertite (la critica ci ha visto del post-femminismo ultra-pop; il profano ci vede un faccione-specchio delle brame, che interroga e risponde in base all’umore del giorno, risolvendo e aprendo le quotidiane piccole crisi di identità).

 

La consapevolezza-non consapevolezza della vecchiaia e dell’adolescenza, e le domande sulla vita e sulla morte che si ricorrono senza retorica in un film che non è solo un film, ma anche un discorso della regista-autrice-performer tra sé e sé, e tra i tanti sé che compongono l’affresco collettivo di “N-Capace”, opera prima di Elenora Danco (prodotto da BibiFilm in collaborazione con Raicinema) che da Roma è partito e a Roma torna (lunedì 18, al Monk), dopo un anno di riconoscimenti (menzione speciale al Torino Film Festival). La Roma più stralunata e i suoi personaggi “ai margini” sono i protagonisti di un viaggio non convenzionale nel surreale della condizione umana: parlano d’istinto, gli anziani e i giovani intervistati da Danco, e tornano al punto in cui qualcosa si è interrotto, al momento in cui sono diventati quello che non avrebbero voluto diventare, in un balletto di identità negate e ritrovate quando e dove meno te lo aspetti. Per esempio, nello stupore della nonna che ancora non si capacita della sua passata condizione di bambina impiegata troppo presto nei campi; o nello sguardo del padre che non riesce neanche a rispondere a sua figlia, e però vorrebbe parlare di sé perché forse nessuno gliel’ha mai chiesto. “Ho messo insieme anziani e adolescenti, quelli fuori dai cicli produttivi”, aveva detto Danco a Repubblica, spiegando che “il film cerca di tirar fuori reazioni dirette e non psicologiche, con inquadrature artificiali e mai naturalistiche in luoghi dove campeggia la materia. Sassi, pomodori, foglie, biscotti… Io appaio in una vasca piena di biscotti. E’ il richiamo a una scena di Buñuel. A volte ho inventato lì per lì sul set. Ho girato tra la Roma popolare dove ho vissuto e dove vivo, e la Terracina dell’infanzia”.

 

Poi, teatro nel teatro, c’è la consapevolezza negata d’essere ormai partito: i Cinque Stelle si scoprono divisi in “correnti”, e la cosa non piace (specie a Roma). E ieri, dopo la visita di Beppe Grillo, Roberta Lombardi, deputata plenipotenziaria e storica prima “portavoce a turno” alla Camera, ha lasciato (ufficiosamente) il minidirettorio che si muove attorno al neosindaco Virginia Raggi. Motivi sottesi: disaccordo di metodo sulle nomine. Ma non si può apparire “partito”, appunto, e dunque ieri Lombardi smentiva in nome di importanti impegni “nazionali” (e però il web era già scatenato “pro” e “contro”).

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.