"Tоm à la ferme" di Xavier Dolan

Com'è che un film passa da possibile Leone d'oro a scartina estiva?

Mariarosa Mancuso
Questa settimana, a sorpresa, esce il nuovo film di Xavier Dolan: “Tom à la ferme”. Tratto da una pièce teatrale di Michel Marc Bouchard, ha un impianto solidissimo e tradizionale.

Cercasi film di Xavier Dolan disperatamente. Tre settimane fa, a sorpresa, spuntò in una manciata di sale “Laurence Anyways”, film che il giovanotto prodigio aveva girato nel 2012. Non è che se ne fossero perse le tracce. Il canadese del Québec – classe 1989, folgorato sulla via del cinema dal “Titanic” oltre che da un’altra manciata di film anni Novanta – viene puntualmente invitato ai festival. Raramente torna a casa senza premi. Possiamo però convenire che la storia di un professore di Filosofia che si traveste da donna pur continuando a frequentare la fidanzata non richiami al cinema le folle.

 

Questa settimana, altra sorpresa, di Xavier Dolan esce “Tom à la ferme”. Era in concorso alla Mostra di Venezia nel 2013, siccome ci dobbiamo sempre distinguere tornò a Montreal senza un premio (eppure sarebbe stato bello vedere Bernardo Bertolucci, presidente della giuria, che cominciò a far cinema giovanissimo, passare finalmente le consegne). Neanche di questo film si erano perse le tracce: in paesi che amano il cinema facendo seguire i biglietti alle parole – la Francia per esempio – era uscito pochi mesi dopo, con notevole successo.

 

Com’è che un film passa da possibile Leone d’oro a scartina estiva? Lo diciamo con tutto il rispetto dovuto ai distributori, “coraggiosi” per definizione, ma questo è. Per averne la certezza basta scorrere gli altri titoli in cartellone, e ricordare che “scartina estiva” è diventato anche l’ultimo strepitoso film di Richard Linklater, “Tutti vogliono qualcosa”. Nel caso di “Tom à la ferme” non c’era neppure la bizzarria dell’argomento: il film racconta di un giovanotto che da Montreal va nella campagna profonda per il funerale dell’amico con cui viveva. E scopre che nessuno era al corrente della peccaminosa relazione.

 

Non c’era neppure l’audacia della forma, che spesso trascina il regista di “Mommy” verso strade impervie, quasi sempre ricche di soddisfazioni per lo spettatore. La riserva riguarda l’ultimo film, “Juste la fin du monde”, presentato e premiato lo scorso maggio al Festival di Cannes: l’impianto è classico – il ritorno a casa del figlio che ha fatto fortuna altrove – mentre la recitazione sta tragicamente sopra le righe.

 

Tratto da una pièce teatrale di Michel Marc Bouchard, “Tom à la ferme” ha un impianto solidissimo e tradizionale. Confronti a due – il giovanotto cittadino e una gelida mamma, il giovanotto cittadino e il fratello del morto (sbuca minaccioso dai campi di granoturco) – con la tensione di un film diretto da Alfred Hitchcock. Il regista tiene per sé la parte del protagonista, una cascata di ricciolini biondi e l’aria da innocente affascinato dal pericolo. Da Leone d’oro, appunto. Che invece – e riecco la smania di distinguersi, facciamoci del male – andò al documentario di Gianfranco Rosi “Sacro Gra”.

 


 



 


 

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