Quella strana idea per cui i capi mafia vengono catturati per caso

Massimo Bordin

Marco Lillo, presentando il suo ultimo libro sulla Trattativa, critica Mori e le sue ammissioni sui contatti con Vito Ciancimino finalizzati alla cattura di Totò Riina

Giovedì a Tg3 Notte finale agitato, con qualche passaggio istruttivo. Era presente Marco Lillo del Fatto Quotidiano per presentare il suo ultimo libro, scritto insieme a Marco Travaglio, sulla sentenza di primo grado del processo sulla famosa trattativa stato-mafia. La sentenza consta di migliaia di pagine, già questo dovrebbe indurre in sospetto, e dunque necessita di sintesi, semplificazioni e adeguate chiavi di lettura. In un fazzoletto di tempo concesso nella coda di un tg bisogna disseccare ancora più la sintesi, ridurla a poche parole. Questo ha fatto Lillo che ha ricordato due punti dello sterminato processo: la revoca del carcere duro ad oltre trecento mafiosi nel novembre 1993 e l’ammissione del generale Mori di aver intavolato una trattativa con Vito Ciancimino. La centralità di quella revoca si basa su una premessa falsa. Di quei trecento solo una trentina erano di Cosa nostra e c’erano motivi per non applicare loro il carcere duro, confermato a tutti i boss. Quanto alla trattativa di Mori era finalizzata alla cattura di Riina e non alla resa dello Stato. Mori doveva avvertire prima i magistrati, questa l’argomentazione di Lillo che ha aggiunto: “Borsellino non avrebbe mai fatto una cosa del genere”. A quel punto i professori Orsina e Sapelli, altri ospiti in studio, hanno vigorosamente dissentito. L’argomentazione era suggestiva ma fuorviante. Un magistrato verbalizza testimoni. Reclutare informatori è compito da sbirri. Non si può credere che una persona intelligente come Lillo pensi che i capi mafia vengano catturati perché incappano casualmente in un posto di blocco.