Un'udienza del processo stato-mafia (foto LaPresse)

La storia della Trattativa è quella che l'opinione pubblica vuol sentire

Massimo Bordin

Cresce sui banconi delle librerie e sulle mensole delle biblioteche il numero dei libri dedicati alla vicenda raccogliendo, nella quasi totalità dei casi, la sola versione dell’accusa

Dunque ci siamo e fra un paio di settimane il lunghissimo processo sulla trattativa arriverà a sentenza. Il 16 di questo mese la corte si trasferirà in un’altra aula bunker, quella del carcere di Pagliarelli, ed entrerà in camera di consiglio dopo aver ascoltato le dichiarazioni spontanee dell’ex ministro Nicola Mancino, unico degli imputati che ha annunciato di avvalersi del diritto ad avere l’ultima parola. La pubblica accusa ha rinunciato a replicare ai difensori, una decisione davvero non usuale in processi di questo tipo ma difficilmente interpretabile, così come l’esperienza mostra essere esercizio inutile valutare in funzione del verdetto la durata della camera di consiglio. Non resta che aspettare una quindicina di giorni che saranno gli ultimi di una vicenda ventennale per giungere a una sentenza che comunque sarà di primo grado, mentre a Firenze la procura ha riaperto l’indagine sui mandanti occulti delle stragi del 1992-’93, tema strettamente connesso a quello del processo che va a sentenza. In parole povere l’inchiesta può durare all’infinito. Nel frattempo cresce sui banconi delle librerie e sulle mensole delle biblioteche il numero dei libri dedicati alla vicenda raccogliendo, nella quasi totalità dei casi, la sola versione dell’accusa. Forse nessun processo in Italia ha mai visto una così pesante campagna mediatico-culturale orientata a convalidare prima della sentenza l’ipotesi accusatoria. C’è una logica banale che spiega il fenomeno. La storia della losca trattativa è quella che l’opinione pubblica vuol sentire. Resta il fatto che almeno avrebbero potuta raccontarla meglio.

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