Una cella del carcere di San Vittore a Milano (foto LaPresse)

Sovranismo giudiziario sull'ergastolo ostativo

Massimo Bordin

La Cedu ha accolto il ricorso di un detenuto italiano al 41 bis perché condannato anche per associazione mafiosa

Esiste ormai nel nostro paese una sorta di sovranismo giudiziario che contesta il primato nella gerarchia delle fonti, nei paesi membri del Consiglio d’Europa, delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo. Se ne è avuto un esempio con il recepimento da parte della corte di cassazione della sentenza della corte europea sul caso Dell’Utri. Sul Fatto quotidiano Giancarlo Caselli scrisse una serrata critica alla decisione dei giudici italiani, ritenendola lesiva della nostra sovranità giurisdizionale. Da ieri il problema si ripropone su un tema ancor più delicato del reato di concorso esterno.

  

La Cedu ha infatti accolto un ricorso di un detenuto italiano condannato all’ergastolo per omicidio e recluso in regime di 41 bis perché condannato anche per associazione mafiosa. Si tratta di un caso estremo del cosiddetto ergastolo ostativo, una misura criticata dall’Unione camere penali e dal Partito radicale. L’avvocato Valerio Vianello, in nome del suo assistito Filadelfo Ruggeri, nel suo ricorso, pone in sostanza la questione di un doppio binario che caratterizza il nostro sistema giudiziario non solo nella fase processuale ma anche in quella dell’esecuzione della pena. La contraddizione, senza farla troppo lunga, si evidenzia nell’aggettivo che conferma il sostantivo.

  

Un ergastolo ostativo è un ergastolo sottolineato che nega in radice il concetto di risocializzazione che dovrebbe giustificare, almeno come possibilità, la pena anche nella sua massima estensione. Nel caso dei detenuti sottoposti al 41 bis il contrasto fra princìpi e realtà si evidenzia al massimo. Non si può negare la complessità del problema ma il fatto che la corte europea lo abbia riconosciuto è utile.

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