Henry John Woodcock (foto LaPresse)

Sul caso Consip lo scrupoloso lavoro dei magistrati (di Roma)

Massimo Bordin

Restano aperti problemi, non necessariamente giudiziari, che toccano l’Arma e la procura di Napoli

La decisione del gip romano Gaspare Sturzo di sospendere per un anno dall’arma dei carabinieri il colonnello Alessandro Sessa e il maggiore Gianpaolo Scafarto va considerata non tanto in sé quanto per le premesse che l’hanno determinata. I due ufficiali dell’Arma erano stati sollevati dal ruolo di investigatori sul caso Consip dalla procura di Roma già nella scorsa primavera. La loro sospensione è ora dovuta a una richiesta della stessa procura rappresentata dall’aggiunto Paolo Ielo e dal sostituto Mario Palazzi. Il passaggio importante sta proprio nella formulazione delle contestazioni ai due ufficiali da parte dei due pubblici ministeri. Sessa e Scafarto oggi si trovano accomunati nella stessa ipotesi di reato di depistaggio, sei mesi fa ipotizzato per il solo Sessa. Evidentemente successive indagini hanno convinto la procura a estendere la contestazione anche a Scafarto, sciogliendo il dubbio su una disparità di trattamento che a prima vista poteva far apparire una simile imputazione più un tecnicismo giuridico che una chiave di lettura dell’operato dei due ufficiali. Oggi il dubbio, sollevato qui all’epoca, si dissolve. Il tempo trascorso va a onore dei magistrati che hanno evidentemente voluto operare con il massimo scrupolo per arrivare alla grave conclusione che le indagini sulla Consip erano state gestite in modo gravemente distorto, fino al depistaggio e alla frode, dagli ufficiali di polizia giudiziaria che le dirigevano, i quali per di più hanno continuato ad agire fraudolentemente anche dopo la loro estromissione dalle indagini. Restano aperti problemi, non necessariamente giudiziari, che toccano l’Arma e la procura di Napoli.

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