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Lo strano caso di Rifondazione Comunista a Taranto

Massimo Bordin

Il partito ha tenuto a Taranto il suo congresso provinciale, segnato dall’imminenza delle elezioni comunali nel capoluogo. Ecco cosa è uscito fuori

Rifondazione Comunista a Taranto mantiene, pur nel contesto di una formazione politica che ha avuto ministri e presidenti della Camera e oggi è un gruppo extraparlamentare forte solo del suo patrimonio immobiliare, un insediamento di qualche rilievo e interesse. In particolare nei suoi ranghi militano ancora alcuni operai e tecnici dell’Ilva, e prima ancora dell’Italsider, che furono minoritari nel sindacato ma assai popolari fra i compagni di lavoro. Finché il lavoro ci fu. Quando è svanito, anche per responsabilità della gestione sindacale, è rimasto il partito e l’orgoglio politico. Discutibile certo ma non disprezzabile. Del resto chi lavora decenni in un altoforno il rispetto lo merita comunque. Ora Rifondazione ha tenuto a Taranto il suo congresso provinciale, segnato dall’imminenza delle elezioni comunali nel capoluogo, e il segretario locale, Remo Pezzuto, dopo aver spaziato nella sua relazione sui molti problemi che si pongono a una forza politica comunista nella fase attuale, ha dato la linea sulla scadenza elettorale locale. In premessa ha sostenuto che quel che occorre è “mettere insieme le forze politiche di alternativa, il mondo del lavoro, l’associazionismo laico e cattolico, l’ecologismo e i movimenti sociali”. Benissimo. Come si saldano insieme tutte queste belle cose? Quale candidato sindaco può divenire la lega risultante dalla ambiziosa fusione? Il segretario Pezzuto non ha dubbi: “La personalità che oggi a Taranto può rappresentare al meglio questo percorso è l’ex procuratore della Repubblica Franco Sebastio”. Viene da pensare che la fusione sia venuta male e nell’altoforno ci sia finito Montesquieu.

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