Noa e il nostro terribile piano inclinato

Giulio Meotti

Intervista a Theo Boer, già membro della commissione sull’Eutanasia in Olanda: “Noa avrebbe potuto riceverla, perché qui, partiti da casi estremi, ora la impartiamo anche ai malati psichiatrici (83 in un anno). Abbiamo organizzato la morte”

Roma. La notizia della morte di Noa Pothoven ha fatto il giro del mondo. La diciassettenne olandese, di cui inizialmente si pensava che avesse avuto accesso all’eutanasia, si è lasciata morire di fame e di sete nella propria casa, seguita da un’équipe medica che alla fine l’ha sedata. Noa aveva subìto violenze sessuali e diceva di non voler più vivere. Un nuovo caso Eluana Englaro, ma, a differenza di Eluana, Noa era perfettamente capace di intendere e di volere e aveva pianificato la morte da dicembre, quando aveva fatto richiesta dell’eutanasia alla Levenseindekliniek, la clinica per il fine vita dell’Aia che soltanto nel 2017 ha praticato l’eutanasia a 750 persone, ma che non le aveva ancora concesso il trattamento. “Voglio arrivare dritta al punto: entro un massimo di dieci giorni morirò”, aveva scritto Noa su Instagram. Lo stato olandese aveva acconsentito alla sua morte decidendo, in accordo con la famiglia, di non intervenire. Ieri il ministero della Salute avrebbe avviato “un’ispezione sanitaria”. Papa Francesco è intervenuto sulla morte di Noa Pothoven: “L’eutanasia e il suicidio assistito sono una sconfitta per tutti. La risposta a cui siamo chiamati è non abbandonare mai chi soffre, non arrendersi, ma prendersi cura e amare per ridare la speranza”. Convinto sostenitore della legalizzazione dell’eutanasia nel 2001 e membro per nove anni della commissione di controllo sulla legge, Theo Boer, docente all’Università di Utrecht, parlando con il Foglio riconosce che i suoi avversari avevano ragione “quando dicevano che l’Olanda si sarebbe trovata su un piano inclinato pericoloso”. “La clinica ‘fine vita’ aveva rifiutato di aiutare Noa. Così ha deciso di smettere di bere e mangiare e allora è iniziata la confusione di questa vicenda. I suoi genitori hanno accettato la sua scelta. Avrebbero potuto forzarla nell’alimentazione. Noa è morta di morte non naturale. Non posso escludere che la clinica sia intervenuta nei momenti finali. E sicuramente Noa avrebbe potuto morire con l’eutanasia se i medici avessero accettato, lo prevedeva la legge. La pratica eutanasica qui ha creato una cultura in cui la morte è la soluzione a tutte le sofferenze, che sia con un intervento attivo o con un abbandono del paziente. E io reputo che questo sia tragico, siamo sul famoso piano inclinato, in cui la morte è vista come la soluzione. La sola offerta dell’eutanasia crea la domanda”.            

Dalla clinica dell’Aia ci dicono: “Per legge non possiamo parlare dei nostri casi singoli”. E di casi di eutanasie in Olanda, soltanto nel 2017, ce ne sono state 6.585. Una media di 18 persone al giorno. 

    

   

Bert Keizer, uno medici della Levenseindekliniek cui si era rivolta Noa, parlando con il Guardian ha detto che “l’eutanasia è diventata qualcosa di normale”. L’Olanda, ha detto il direttore della clinica Steven Pleiter sempre al Guardian, ha ricevuto 18 mila richieste di eutanasia soltanto nel 2017. Nel 2002, quando venne legalizzata, in tutta l’Olanda ne fecero ricorso 1.882 persone, salite nel 2017 a 6.585. La clinica dell’Aia oggi ha sessanta medici che praticano l’eutanasia, ma ne avrebbe bisogno di cento per tutte le richieste. Nel 2013, l’Olanda praticò l’eutanasia sui malati di Alzheimer. Come scrisse il ricercatore Erik Parens sull’Hastings, il più influente giornale di bioetica al mondo: “Gli olandesi hanno da poco cominciato a usare i criteri di sofferenza insopportabile senza prospettive di miglioramento anche ai malati di Alzheimer”. I risultati di uno studio pubblicati sull’importante Jama Psychiatry e riportati dal New York Times il 10 febbraio 2016 rivelò poi che, tra le cause individuate dai medici olandesi per autorizzare l’eutanasia, c’erano la depressione, la schizofrenia e i disturbi alimentari. Alla fine del 2017 anche il prestigioso British Medical Journal ha compiuto una propria inchiesta sull’eutanasia olandese: il 31 per cento di tutti i casi andava registrato come una violazione della legge. Pazienti affetti dal morbo di Huntintgton, di Parkinson, di Alzheimer e varie patologie psichiatriche.

        

I dati del professor Boer sono spaventosi: “A partire dal 2007, i numeri sono aumentati improvvisamente. Era come se gli olandesi avessero bisogno di abituarsi all’idea di una morte organizzata. Conosco molte persone che ora dicono che c’è un solo modo in cui vogliono morire ed è attraverso l’iniezione. Sta diventando troppo normale. All’inizio, il 98 per cento dei casi erano malati terminali con pochi giorni di vita. Ora sono il 70 per cento”. Come spiega un rapporto della ZonMW, l’organizzazione olandese per la ricerca medica, “il 60 per cento degli specialisti di geriatria sente la pressione dei familiari di praticare l’eutanasia sui propri cari”. C’è il caso di una ragazza olandese raccontato dalla Bbc pochi mesi fa. E’ una delle “83 persone sottoposte a eutanasia per motivi di sofferenza psichiatrica” nell’ultimo anno. Aurelia Brouwers aveva una lunga storia di malattie mentali: personalità borderline, depressione cronica, ansia, psicosi. Come Noa, Aurelia ha fatto domanda di eutanasia al Levenseindekliniek, che ha supervisionato 65 degli 83 decessi approvati per motivi psichiatrici nei Paesi Bassi lo scorso anno.

   

   

   

“Il compito più importante del governo è proteggere i suoi cittadini”, ha scritto sul Wall Street Journal il parlamentare olandese Kees van der Staaij. “Il governo olandese parla spesso quando i diritti umani fondamentali sono minacciati in tutto il mondo. Ora che il diritto fondamentale alla vita è minacciato nei Paesi Bassi, è tempo che gli altri parlino della cultura olandese dell’eutanasia”. Aurelia si era ripresa anche visitando il crematorio dove si sarebbe concluso il suo viaggio. Un video che, forse, non era stato previsto neppure dai più pessimisti teorici del piano inclinato. Così è morta Aurelia, ma anche noi non stiamo molto bene.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.