Un bassorilievo greco di un medico che esamina un paziente mentre Ippocrate osserva con in mano il simbolo della medicina, circa 350 a.C. (Hulton Archive/Getty Images) 

bandiera bianca

Le linee guida antirazzismo vogliono correggere un linguaggio che non conoscono

Antonio Gurrado

Il centro di ricerca britannico Reframing Race, per contrastare il razzismo tramite un più corretto utilizzo del linguaggio, sconsiglia di utilizzare l’espressione “umore nero”, in quanto associa il colore nero a sofferenza e distruzione. Peccato che non sia così

Io ero convinto che il primato spettasse alla New York University, che ha ospitato un laboratorio sull’antirazzismo aperto solo ai bianchi: altrimenti, spiegano gli organizzatori, gli eventuali partecipanti di altre etnie avrebbero rischiato di sentirsi offesi o traumatizzati dall’esposizione delle teorie razziste da contrastare. Stavo sedendomi a scrivere questa paginetta virtuale quand’ecco che, neanche il tempo di posare il deretano sulla seggiola, arriva un’altra notizia che sbaraglia i miei piani: il centro di ricerca britannico Reframing Race, proponendosi di contrastare il razzismo tramite un più corretto utilizzo del linguaggio, ha emanato delle linee guida in cui sconsiglia di utilizzare l’espressione “umore nero”, in quanto associa il colore nero al concetto negativo di sofferenza e distruzione, “perpetuando una gerarchia razziale che colloca i neri ai gradini più bassi”. Certo, se a Reframing Race avessero fatto ricerca anche su qualcos’altro, magari avrebbero scoperto che l’umore nero è l’atrabile, il coagulo di sangue scuro e fiele che causa malinconia secondo la teoria di Ippocrate. Niente a che vedere, dunque. A meno di voler credere che il padre della medicina scientifica, parlando anche della bile gialla come causa della collera, volesse in realtà perpetuare una gerarchia razziale secondo cui i cinesi sono sempre incazzatissimi.

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