Un'immagine di piazza San Giovanni, a Roma (Ansa)

Bandiera bianca

Al Concertone non conta ciò che si dice dal palco, gli applausi ci sono lo stesso

Antonio Gurrado

Noi italiani diamo una rilevanza spropositata a ciò che orbita attorno agli eventi musicali: non ci rendiamo conto che esistono contesti migliori di un teatrino di provincia o di una piazza di scalmanati per affrontare complessi discorsi astratti

Il problema dell’Italia è che ci piacciono troppo le canzoni. Solo che non ci limitiamo a cantare attivamente – nei casi di urgenza estrema, come durante la pandemia, anche affacciandoci al balcone per gorgheggiare – ma privilegiamo la fruizione passiva, il voyeurismo delle canzonette. Per questo diamo una rilevanza spropositata a ciò che orbita attorno agli eventi musicali. Un popolo canterino formato da quattordici milioni di spettatori che guardano Sanremo fino all’asfissia e da due milioni che si piazzano davanti alla tv per guardare il Concertone del primo maggio – anziché uscire, organizzare una grigliata, fare la rivoluzione proletaria – è un popolo che inevitabilmente riterrà decisivo ciò che viene proclamato da un palcoscenico; indipendentemente dall’evenienza che a pronunciarlo sia un fisico, una sportiva o un passante pescato per caso.

 

Purché ci siano delle canzoni, il pubblico batterà le mani e si convincerà di avere sentito qualcosa di profondo. Senza pensare che, per complessi discorsi astratti, ci sono contesti migliori di un teatrino di provincia o di una piazza di scalmanati in visibilio. Senza pensare che, se c’è un palcoscenico, allora c’è per forza una messinscena. Senza pensare che quei discorsi fra una canzone e l’altra sono in playback: a chi parla basta muovere le labbra, tanto il pubblico applaude lo stesso.

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