Una favola per il povero Di Maio

Antonio Gurrado

Da contadino del Danubio a ministro degli Esteri. Promozioni che non lo erano

Povero Di Maio, a vederlo così assediato da furibondi che vogliono smembrarne il potere, ridicolizzato da leader internazionali poco diplomatici, piegato ai capricci di ambigui potentati informatici, eccetera, mi vien quasi voglia, per consolarlo, di raccontargli una favoletta. Si trova in La Fontaine ma pare risalga per tradizione orale addirittura ai tempi di Marco Aurelio.

  

C'era una volta un contadino del Danubio che, intercettando il malcontento dei propri pari, volle scendere fino a Roma a protestare. Quando riuscì a farsi ricevere in Senato, di fronte all'imperatore sbigottito elencò puntigliosamente le doglianze dei contadini danubiani: la povertà, le ingiustizie, le angherie e lo sfruttamento cui erano sottoposti dai governanti. Quando finì, attese tremebondo di venire fustigato, o magari condannato a morte; l'imperatore però, per tutta punizione, lo nominò patrizio così da farlo odiare dagli altri contadini.

 

Morale della favola: le nomine a capo politico, a vicepremier, a ministro degli Esteri, che Di Maio ha frainteso per riconoscimenti, sono in realtà altrettante punizioni. Gli conveniva restare contadino del Danubio, ruolo oggi equivalente allo steward del San Paolo.

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