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Altro che rider, la vera professione in crisi è quella del vip italiano

Antonio Gurrado

La polemica sulla lista di quelli che non danno la mancia ci mostra che nel nostro paese i personaggi famosi non possono permettersi di possedere un ristorante né di disporre di un cuoco, un maggiordomo, un galoppino

Oggi, festa dei lavoratori, è l’occasione giusta per riflettere su come l’aspra polemica dei rider contro i vip italiani ci abbia posto di fronte alle stentate condizioni di una professione a tratti umiliante: quella di vip italiano. La rivelazione che costoro non diano la mancia ai fattorini in bicicletta, che consegnano loro cibo a domicilio, scandalizza in quanto dimostra che il vip italiano non può permettersi non dico di possedere un ristorante ma quanto meno di disporre di un cuoco – macché, di un maggiordomo, di un galoppino. La scena del vip costretto a scartabellare su un’app pur di ricevere una pizza o del sushi, come il più pezzente dei sedicenni, stringe il cuore poiché c’impedisce d’ignorare che in Italia anche il lusso è povero, e la fama non privilegia; i vip dovrebbero mangiare cotolette placcate in oro, invece si riducono a pigiare sul touchscreen alla ricerca di cibi da sette euro, magari col 20% di sconto. È il prezzo che si paga all’idea postmoderna di celebrità: se una persona qualsiasi può diventare famosa, allora tutte le persone famose diventeranno qualsiasi. Per questo mi appello ai rider acciocché cessino proteste e velate minacce; se i vip italiani potessero permettersi di largheggiare nelle mance, non vi chiamerebbero più perché avrebbero disinstallato le app di fast food.

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