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I rider se la prendono con i vip ma a illuderli è stato Di Maio

Maria Carla Sicilia

La lista dei personaggi famosi che non lasciano la mancia è un segnale per il ministro del Lavoro che si è dimenticato dei fattorini in bicicletta 

Sono passati nove mesi da quando il vicepremier Luigi Di Maio ha deciso di affrontare il tema delle tutele dei rider, i fattorini che consegnano cibo per le piattaforme online come Foodora e Deliveroo, promettendo loro grandi cambiamenti. Come primo atto da ministro del Lavoro, Di Maio ha incontrato i rappresentanti della categoria e poco dopo ha convocato al ministero le parti sociali e le aziende riunendole intorno a un tavolo di concertazione, di cui oggi si sono completamente perse le tracce (ultima convocazione: fine novembre). C'è stato poi il tentativo di intervenire con un emendamento al decretone su Quota 100 e reddito di cittadinanza, ma la Camera ha bocciato il testo perché inammissibile per materia. Ora che di loro si parla poco o niente, la pagina Facebook del collettivo Deliverance Milano ha deciso di pubblicare un elenco di tutte le persone famose che hanno ricevuto cibo a domicilio senza lasciare alcuna mancia. Come previsto, l'operazione ha ottenuto la visibilità cercata, tra commenti, condivisioni e articoli sui giornali. Così adesso tutti sanno che – dai Ferragnez a Salvatore Aranzulla, da Fabio Rovazzi a Platinette – i ricchi sono avari, mentre nei quartieri popolari le persone sono più generose: “È significativo riscontrare come sia più facile ricevere la mancia se si consegna in zone popolari o in quartieri periferici, piuttosto che in distretti o in civici fighetti e più pettinati”. 

      

      

Alcune parti del comunicato assumono toni minacciosi, un modo per i rider di attirare l'attenzione dell'opinione pubblica. “Ricordatevi sempre una cosa: entriamo nelle vostre case, vi portiamo il cibo e qualsiasi altra cosa vogliate, praticamente a tutte le ore del giorno – si legge nel post di Deliverance su Facebook – siamo in strada sotto la pioggia battente o sotto il sole cocente, senza assicurazione. Sappiamo tutto di voi. Sappiamo cosa mangiate, dove abitate che abitudini avete. E come lo sappiamo noi, lo sanno anche le aziende del delivery. Queste piattaforme come sfruttano noi lavoratori senza farsi alcuno scrupolo, sfruttano anche voi, speculando e vendendo i vostri dati”.

    

Nel testo c'è il tentativo di empatizzare con gli interlocutori mettendo anche loro nella posizione di “sfruttati”, ma anche quello di parlare a un pubblico sensibile al tema della privacy e della gestione dei big data. Con oltre mille commenti in molti hanno discusso sull'opportunità di lasciare la mancia, della violazione della privacy dei personaggi famosi esposti a una mini gogna pubblica, ma è passato probabilmente in secondo piano che dietro alla “blacklist” ci sono ancora le stesse rivendicazioni di nove mesi fa: diritti sindacali, salario minimo e previdenza sociale. Quelle di cui ha tentato di occuparsi Di Maio, senza riuscirci. Intanto dallo scorso luglio il contesto è leggermente cambiato: i rider hanno firmato una carta dei diritti, i proprietari di Foodora hanno lasciato il mercato italiano, alcune aziende hanno proposto una carta dei valori cercando di anticipare eventuali misure più soffocanti da parte del governo, il Pd ha depositato un suo disegno di legge in Parlamento e le regioni Lazio e Piemonte hanno deciso di darsi regole proprie. In molti insomma si sono attivati, ma manca un accordo tra le parti e un quadro legislativo chiaro. Quello che avrebbe dovuto fare il governo, e invece oggi sembra non sapere più come condurre la partita. 

    

Come spesso avviene quando la politica non scioglie le incertezze normative, sono stati i giudici a dire che un contratto di riferimento esiste già ed è quello della logistica, sottoscritto da Cgil, Cisl e Uil quando i rider – “simbolo di una generazione abbandonata” (copyright Di Maio) – non erano ancora un'icona mediatica da spendere politicamente. Il loro diritto, hanno scritto i magistrati nell'ultima sentenza sul caso Foodora, è avere una retribuzione calcolata sulla base del quinto livello del contratto nazionale della logistica. Ma i tentativi del governo, tra cui l'ultimo emendamento al decretone, mirano a inquadrare i fattorini come lavoratori subordinati, tralasciando tutti gli altri aspetti su cui invece ci sarebbe più spazio di manovra. Così inizia a farsi largo l'idea che boicottare una legge in materia sia un atto voluto. Il Fatto Quotidiano ha raccontato che Deliveroo, a cui Di Maio aveva dichiarato guerra, ha finanziato con una somma tra i 5mila e i 10 euro uno studio sull'e-commerce della Casaleggio Associati. Un conflitto di interesse che secondo Deliverance Milano basta a spiegare perché l'entusiasmo di Di Maio si sia perso per strada. 

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