Come si è svuotato il simbolismo dell'antimafia

Antonio Gurrado

Il lenzuolo bianco che sventola a Buccinasco (che imita le candide lenzuola esposte a Palermo 25 anni fa dopo gli attentati a Falcone e Borsellino) e le biciclettate per la legalità dimostrano quanto sia sottile il confine fra simbolismo e velleitarismo

Buonasera, sono un lenzuolo e garrisco solitario su un balcone di Buccinasco. Le notizie (me le porta il vento) riferiscono che io sia un lenzuolo antimafia, in quanto ieri sono stato appeso alla ringhiera in segno di protesta contro la scarcerazione di un boss in questo paese dell'hinterland di Milano: sono dunque un'imitazione delle candide lenzuola esposte a Palermo venticinque anni fa dopo gli attentati a Falcone e Borsellino. Ma i cronisti notano perfidamente che la Buccinasco di oggi non è la Palermo di allora, e che di lenzuola come me ce n'è un paio qui, un altro là, scarsissima roba insomma. È indifferenza? È paura? È complicità? È che di domenica la gente ci utilizza per dormire? Fatto sta che sono stato meta del pellegrinaggio del gruppetto dei partecipanti a una biciclettata per la legalità, la Magnalonga Sudomi, che si proponeva di “passare una giornata all'insegna del buon cibo locale, della conoscenza del territorio e del divertimento” con “uno spirito nuovo, quello del riscatto dalle mafie”. Allora ho capito che – si tratti di lenzuolate antimafia, biciclettate legalitarie, spaghettate antifasciste, tombolate ambientaliste o apericena pro migranti – il mio compito non è rinfacciare a chi non partecipa di essere indifferente, pauroso o complice. Il mio compito è mostrare quanto sia sottile il confine fra simbolismo e velleitarismo; sottile quanto me, non più di un lenzuolo al vento.

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