Il paradosso del politicamente corretto spiegato con i diritti dei rossi di capelli

Antonio Gurrado
Abbiamo bisogno di discriminazioni sempre nuove, altrimenti il politicamente corretto non resta in piedi. Arrivano i primi caldi e, sulla Stampa, leggo che l'estate è la stagione più difficile per chi ha i capelli rossi: una minoranza facilmente soggetta a scottature e sottoposta a secoli di vessazioni.

Abbiamo bisogno di discriminazioni sempre nuove, altrimenti il politicamente corretto non resta in piedi. Arrivano i primi caldi e, sulla Stampa, leggo che l'estate è la stagione più difficile per chi ha i capelli rossi: una minoranza facilmente soggetta a scottature e sottoposta a secoli di vessazioni, dal Medioevo in cui si tacciava i rossi di sessualità abnorme fino a Giovanni Verga che addirittura li definiva “birboni”. Per ovviare è sorto il Ginger Pride, movimento teso a favorire l'integrazione dei rossi nella società: quest'anno si sono già tenute marce a Londra, Portland, Chicago e in Georgia; Irlanda, Olanda e Brasile seguiranno entro settembre. Per i compatrioti, oltre al Rossitalia di Milano che è in programma dal remoto 2012, adesso è disponibile anche il sito Noi Rossi.

 

Su questo sito potete esprimere il vostro “orgoglio rosso”, immaginare la vostra star preferita coi capelli rossi, leggere testimonianze di modelle rosse vittime di bullismo, ricevere consigli per depilarvi in sicurezza e sentire “la voce di chi si sente rosso anche se non lo è”. Le istanze dei rossi sono utilissime a dimostrare il paradosso al cuore del politicamente corretto: se uno non si sente discriminato, allora si sente discriminato.

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