Il ministro della Cultura Dario Franceschini (foto LaPresse)

Mentre in Siria si muore, ecco i boots on the ground di Franceschini a Palmira

Redazione
Il ministro della Cultura dice che l'Italia sta valutando l'invio di una task force per tutelare il patrimonio culturale siriano. Un buon pretesto per giustificare l'inazione dell'occidente di fronte alle stragi di vite umane

Mentre Palmira viene riconquistata dall'esercito del presidente siriano Bashar el Assad e l'occidente resta immobilizzato di fronte alla guerra contro lo Stato islamico, che in questi mesi ha sì deturpato le rovine dell'antica città siriana, ma soprattutto ha fatto migliaia di morti, ecco l'ultima proposta italiana: l'invio dei caschi blu delle opere d'arte. "Nei prossimi giorni vedremo che scelte verranno fatte su Palmira e che tipo di intervento verrà richiesto. Noi siamo comunque pronti con la nostra task force, composta dai Carabinieri del nucleo Tutela patrimonio culturale e da civili specializzati". A parlare è il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, in merito a un eventuale intervento dei 'caschi blu' della cultura italiani nel sito archeologico di Palmira, già liberato dalla presenza dei miliziani dello Stato islamico. La proposta del ministro smaschera ancora una volta la decisione dell'occidente di volersi girare dall'altra parte di fronte alle vittime in carne e ossa della guerra, celandosi dietro l'ipocrisia della tutela delle opere d'arte. Che di certo fanno parte del bagaglio storico, religioso e culturale dell'umanità intera, ma che di fronte alle migliaia di vite umane devastate dalla guerra appaiono invece come un argomento ulteriore per giustificare la scelta di restare a guardare. E' quello che Mario Sechi ha definito "la metafora dell'impotenza dell'occidente".

 

Ma la crociata per riprendere quelle antiche mura non è stata condotta dall’occidente. Le divise sono quelle dell’esercito di Assad e la forza che ha preparato il terreno per l’avanzata è quella della Russia di Vladimir Putin. Non si tratta solo di un tema che riguarda la strategia militare, la durata della guerra, la sua intensità, l’obiettivo finale, la combinazione delle forze di aria, terra e mare. A Palmira c’era in gioco molto di più: la caduta e la riconquista dell’antica Tadmor (significa “palma”) è la metafora dell’impotenza dell’occidente, del cosiddetto mondo libero diventato improvvisamente riluttante di fronte al male che ruggisce. Avvolto dalla coperta rassicurante del mito delle “zero perdite”, il nostro mondo ha espunto la guerra dal suo discorso pubblico fino a cedere a chi libero non è (Putin non è un modello di democrazia, Assad ha un destino segnato dai crimini del suo esercito) proprio l’esercizio di quella “forza liberatrice” che aveva segnato la storia del Ventesimo secolo.


Anche Adriano Sofri ha sottolineato come l'inazione dell'occidente sia inspiegabile, anche guardando agli schieramenti sul terreno, alle difficoltà oggettive che lo Stato islamico sta incontrando nell'ultimo periodo.

 

La Russia ha dalla sua, oltre alla risolutezza di cui Putin può fare sfoggio, gli stivali sul terreno dell’esercito siriano e dei suoi alleati sciiti. Dalla parte della colossale e petulante coalizione a guida americana l’esorcismo feticista contro gli stivali sul terreno ha impedito un’offensiva contro l’Isis che sarebbe stata tanto più facile quanto più tempestiva, e che ha ottenuto dei risultati solo dove poteva contare sui curdi.