Francesco Totti (foto LaPresse)

Giù le mani dal Pupone

Giuliano Ferrara

Nuova campagna di diffamazione, questa volta fondata su una visura commerciale e condoglianze di famiglia a mezzo stampa. In ansia per sempre nuovi teoremi stercorari - di Giuliano Ferrara

Il teorema stercorario che fa del Pupone un mafioso o giù di lì è presto enunciato. A Roma c’è la “mafia capitale” perché lo dicono i pm militanti e il loro capo lo annuncia in anticipo sugli arresti, fra lo strepito confortante dei media, a un convegno del Pd (il pm della Corte dei conti nega che sia mafia). La famiglia Totti ha investito legalmente in una società in affari con il Comune e ne ha realizzato un guadagno. Il funzionario che si occupò della cosa quando stringeva la mano a tutto l’establishment rispettabile della capitale e lavorava per sindaco e presidente della provincia ha potere di contaminazione anche ex post. La famiglia Totti al completo ha messo anni fa un annuncio di condoglianze sull’Unità per la morte del padre del loro amico Luca Odevaine, il funzionario. C’è la luttuosa prova del familismo amorale: il calciatore Totti è nella ragnatela delle cosche e va sputtanato per questo. Il giornalismo investigativo realizza con ardimento la sua funzione deontologica: il fango nel ventilatore costi quel che costi. Giù le mani da Francesco Totti, viene da dire con toni da curva sud contro la mafia di Roma nord, la Corleone dei cravattari e dei quattrinari.

 

Abbiamo qui già deriso le modalità dell’arresto di Carminati, della sua detenzione che nemmeno Al Capone, la fatua follia di un’indagine che si muove quasi esclusivamente sul filo molto mediatico del telefono intercettato e che vanitosa si gonfia a scoperta dell’acqua calda (c’è chi delinque e chi si fa corrompere) con il coperchio piumato delle modalità mafiose. Abbiamo registrato punto per punto i leaks di procura, le pagine rese note alle redazioni in cerca di trash, sempre le stesse e contemporaneamente, come noiosi comunicati stampa. Abbiamo visto che l’arsenale mafioso di cui parlavano i titoli dei giornali era un coltellino giapponese per tagliare il pesce crudo. La mala uccide sul litorale, e gambizza perfino, ma nella scena della “mafia capitale” latitano gli spetti dei morti, e per fortuna, mentre le misure estortive massime sono parolacce a una pompa di benzina o contiguità con il sottobosco della destra e della sinistra affarista, ex carcerati e redentori di carcerati nella terra di mezzo, appresso al loro santo sociale impegnati in modesti lucri nel campo dell’assistenza e della carità: ampliamento di campi rom, raccolta delle foglie, attacchinaggio. Intanto il Corriere da Milano rivela che a Roma per la fantomatica città dello sport ci sono affari costruttivi pendenti dal 2009 per duecento milioni inutilmente spesi e quattrocentosedici da spendere ancora.

 

Il teorema stercorario appeso agli annunci mortuari e alle condoglianze è un business promettente per i giornaletti, i telegiornali e i libri andanti; si dipana sicuro di sé e dilaga come una frenesia d’opinione pubblica, consolida stereotipi assassini, rovina l’intelligenza collettiva e individuale delle cose, produce chiacchiera ed esautora il funzionamento non distorto della giustizia, che è contrasto alla criminalità organizzata e puntuale indagine, nel giusto processo, su responsabilità penali e personali. Il circo mediatico-giudiziario è redditizio: soldi, carriere, fama costruiti, quanto a Roma, sul terriccio malmostoso di un sonetto di Marziale trasformato in qualunquismo del contropotere. Non esistono giornali al mondo, nemmeno gli anglosassoni tabloid, non esiste televisione al mondo, tantomeno quelle serie e autorevoli di Londra, Parigi, New York, Madrid, Berlino, che si fidino di trasmettere nella fossa dei leoni lo sceneggiato continuo dei sospetti, delle intercettazioni anche di chi non ha da rimproverarsi altro che linguaggio di volta in volta disinvolto o scurrile.

 

[**Video_box_2**]Uno dei capi democratici dello Stato di New York, Sheldon Silvers, è stato incriminato come responsabile di una rete di corruttela vasta e ricca finanziariamente, ma è restato un politico e un cittadino titolare di solidi diritti, e sopra tutto un ordinario capitolo del male etico, trattato giudiziariamente, che è sempre intrecciato alla medietà e alla banalità consolante del bene. Il giornale della città, il NYTimes, può scrivere, grazie ai nostri modi di giustizia e di racconto della realtà, che l’Italia è una cloaca, che Roma è la sua degna capitale, che non conviene investire in una fogna, ma si guarda bene dal desumere alcunché oltre la sottile linea rossa dello stato di diritto se le inchieste del district attorney riguardino la classe politica di casa sua. Noi continuiamo a comportarci in modo tenorile, melodrammatico, e facciamo molto male a questo mestiere di cercare notizie sicure, descrivere comportamenti, narrare i fatti di giustizia secondo un criterio credibile e retto. Il Pulitzer alla carbonara va oggi all’annuncio mortuario, la prova. 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.