Matteo Renzi al convegno "La scuola che cambia, cambia l'Italia" (foto LaPresse)

Bocciare la scuola dei benecomunisti

Redazione

Evitare l’ennesima infornata di precari è una svolta meritocratica. Da decenni quando si parla di scuola lo si fa al contrario: partendo dal mezzo, cioè il personale precario o meno, e non dal fine, cioè quale modello di istruzione e formazione, e di prospettive di competizione e lavoro, dare alle nuove generazioni

Approvare una riforma della scuola all’insegna del merito e della modernità con un’altra imbarcata di precari – rito trasversale di tutti gli ultimi anni – presenta un’evidente contraddizione. Che ne minerebbe da subito la credibilità e l’attuazione pratica. Strano che Stefania Giannini non se ne renda conto, dicendosi “basita” per l’apparire e lo scomparire (e forse riemergere in forma di stralcio) del decreto sui precari, pur vantando lei l’augusta discendenza da Scelta civica, il meritocraticissimo partito di Mario Monti abbandonato per riparare tra più sicure mura renziane. Certo, le cause della trasformazione della riforma in disegno di legge (rinviato ieri sera a martedì), e dello slittamento della stabilizzazione dei precari sono formalmente altre: l’attenzione all’invito del Quirinale a dialogare con l’opposizione. Nella serata di ieri, il presidente del Consiglio, Matto Renzi, (purtroppo) rassicurava: la stabilizzazione si farà. Peccato, avrebbe potuto – e ancora potrebbe, se lo volesse – fare di necessità virtù lanciando un segnale al mondo dell’istruzione, agli studenti e alle famiglie che dovrebbero poi essere al centro di tutto, nonché all’universo più ampio della Pubblica amministrazione.

 

Da decenni quando si parla di scuola lo si fa al contrario: partendo dal mezzo, cioè il personale precario o meno, e non dal fine, cioè quale modello di istruzione e formazione, e di prospettive di competizione e lavoro, dare alle nuove generazioni. Anche per evitare la fuga dei talenti. Il risultato di questa inversione è che su 180 mila insegnanti da assumere entro il 2019, per i quali si è stabilito il ritorno al criterio costituzionale e meritocratico del concorso, già 120 mila posti sono bloccati da precari, frutto di assunzioni e sanatorie fatte a livello nazionale e regionale, fino ai singoli provveditorati e istituti. Anche ieri e nei giorni scorsi le delegazioni dei precari si sono presentate sui media e alle trattative con il governo, Giannini in primis, autoproclamandosi bene comune. Nessuna voce è invece concessa a chi aspira a una carriera accademica in base al proprio singolo merito, o addirittura a chi il concorso lo ha vinto e si trova la via sbarrata da precari organizzati. Insegnare da settembre a giugno e aspettare la conferma (normalmente scontata) è scomodo; ma al centro della scuola c’è altro, c’è lo studio.

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