Pier Luigi Bersani e Matteo Renzi (foto LaPresse)

Passeggiate romane

Le correnti del Pd, queste irrottamabili. E in più cinque guerre bersaniane

Redazione

Fosse stato per Renzi le correnti sarebbero già belle che sepolte. Ma, paradossalmente, quelle che nel Pd vengono chiamate per un misto di pudicizia e ipocrisia aree si sono molto moltiplicate.

Fosse stato per lui le correnti sarebbero già belle che sepolte. Ma, paradossalmente, nonostante i suoi auspici e a dispetto della sua volontà, quelle che nel Pd vengono chiamate per un misto di pudicizia e ipocrisia aree si sono molto moltiplicate. E il bello è che a moltiplicarsi sono state proprio le correnti che fanno riferimento al leader maximo, ovverosia a Matteo Renzi. Non che questo gli nuoccia più di tanto dal punto di vista mediatico perché all’esterno è solo lui che conta ed è solo di lui che si parla. Ma nel partito tutto questo rimescolarsi di carte e di correnti potrebbe in effetti procurargli qualche piccola grana.

 

Un esempio? Basti pensare a quello che è accaduto in Campania. Chiunque conoscesse quella zona dava per scontata la vittoria di Vincenzo De Luca su Andrea Cozzolino. Non c’era partita, per popolarità ed efficienza amministrativa. E così infatti è stato. E chiunque conosce De Luca sa che non può chiedergli di farsi da parte punto e basta rinunciando alle primarie. Eppure è quello che gli è stato chiesto dalla corrente renziana di rito “delriano”, quella, cioè, più vicina al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio. L’altra ala renziana, che ha un leader indiscusso, anche perché è l’unico di cui il premier si fida ciecamente e veramente, ossia Luca Lotti, riteneva invece che le primarie andassero comunque fatte, anche se aveva chiesto a De Luca, dopo la condanna, di interrogarsi sull’opportunità della sua candidatura. Una terza corrente, sempre renziana, capeggiata dalla coppia Picierno-Nicodemo, ma più naïf delle altre due, portava invece Gennaro Migliore, il quale si è poi dovuto ritirare anzitempo perché i sondaggi erano disastrosi. Alla fine è andata come è andata, ma si è avuta la rappresentazione plastica del fatto che le correnti renziane sono più d’una.

 

Una settimana di singolarità campana, si potrebbe obiettare. E non ci sarebbe niente di strano, visto che in quella regione il Partito democratico ha già dato prova di essere diviso e alquanto rissoso. Ma in realtà non è così. A Roma c’è il cosiddetto Giglio magico, formato da toscani, capitanato da Lotti, che di Renzi è il braccio ambidestro, e che ha allargato anche in altre regioni la propria sfera di influenza, basterebbe pensare che lì intorno gravita il calabrese Ernesto Carbone, membro della segreteria. Poi ci sono i fedeli di Delrio, come Matteo Richetti  e Angelo Rughetti. Anche loro hanno pescato altrove. A quel punto il segretario nonché premier ha avuto un moto di fastidio: “Non capisco io le distinzioni tra renziani, figuriamoci quanto tutto ciò possa interessare un cittadino normale. Mettetevi a lavorare tutti insieme”. Un invito, quello di Renzi, che almeno all’apparenza è stato seguito, anche perché tra i renziani ormai si sono aggiunti anche ex franceschiniani ed ex fassiniani. Da quando uno è ministro della Cultura e l’altro è sindaco di Torino la loro corrente – Area dem – di fatto si è sciolta, e molti sono andati in altre aree. Ettore Rosato, caposaldo di Franceschini alla Camera, per esempio, è diventato un baluardo del renzismo militante.

 

Ma non basta, nel nome del presidente del Consiglio si stanno dividendo, per quanto non ci sia nessuna spaccatura frontale e clamorosa, anche i giovani turchi, ormai da tempo entrati a pieno titolo nella maggioranza del Pd. Quelli più vicini al presidente del partito Matteo Orfini sono, di conseguenza, anche più vicini al premier, quelli invece più vicini al ministro della Giustizia Orlando sono più autonomi rispetto alle posizioni del presidente del Consiglio. 

 

[**Video_box_2**]E chi credeva che almeno i bersaniani, dopo l’attacco di Roberto Speranza al governo sui decreti attuativi del Jobs Act si fossero ricompattati, sbaglia. Come aveva sempre sospettato Renzi, i più giovani alla fine pensano al proprio futuro e non vogliono andare a uno scontro finale con il premier – l’ex segretario è invece pieno di rancori e di livore. Morale della favola: Pier Luigi Bersani quando parla fa ancora i titoli dei giornali e i più giovani soffrono. Ormai, ogni volta che lo vedono alla Camera, attorniato da cronisti delle agenzie, si chiedono l’un l’altro con terrore: “E adesso a che guerra mondiale contro il premier è arrivato? Alla quarta? Alla quinta? Ha già detto che Renzi è la fonte di tutti i mali?”.

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