Pier Luigi Bersani e Massimo D'Alema (foto LaPresse)

Passeggiate romane

Fine della sinistra

Redazione

Con l’elezione di Mattarella tramonta la Ditta, il nuovo clivage è fra dc. Ora il Partito democratico è in mano agli ex margheritini, agli ex popolari o agli ex democristiani. E sono loro che si accapigliano per la supremazia in quella forza politica.

Chi lo avrebbe mai detto. Ancora qualche settimana fa i giornali si sarebbero dedicati alle distinzioni, diatribe e, in alcuni casi, risse tra gli ex ds, adesso, la materia non interessa più. L’elezione di Sergio Mattarella ha suggellato la fine della sinistra, o, meglio, di quella che Pier Luigi Bersani amava chiamare la Ditta. Ora il Partito democratico è in mano agli ex margheritini, agli ex popolari o agli ex democristiani. E sono loro che si accapigliano per la supremazia in quella forza politica.

 

Contare i vinti e i vincitori è facile. Alla prima schiera appartengono quanti si sono buttati su Sergio Mattarella appena il suo nome è stato fatto. Appena il presidente del Consiglio lo ha sussurrato all’orecchio di Silvio Berlusconi e Silvio Berlusconi non ha detto no (è stato dopo che le cose sono cambiate per l’ex Cavaliere). In pole position c’è Graziano Delrio, che pure con il premier non ha rapporti idilliaci in questo periodo. Ma con pazienza certosina gli ha fatto capire che, alla fine della festa, era l’unico nome spendibile se non si voleva trovare di fronte alla solita selva di scudi alzati e di polemiche. In questa partita, con Delrio hanno giocato altri due ex democristiani che spesso e volentieri si sono pestati i piedi ma che nel momento del bisogno hanno sempre saputo agire di comune accordo: Angelo Rughetti e Beppe Fioroni. Sono stati loro a fare da argine a un altro ex ppi che loro non considerano un vero democristiano, ossia Dario Franceschini, che tifava per un altro candidato. Cioè per Giuliano Amato. La qual cosa non deve stupire, perché basta sentir parlare un ex dc di lungo corso come Ciriaco De Mita per avere la spiegazione: “Dario non è mai stato un democristiano, ma un cristiano-sociale”. Un modo per dire che il ministro dei Beni culturali non faceva e non fa parte a pieno titolo di quel mondo variegato – ma pronto a compattarsi nel momento del bisogno – che è la fu Democrazia cristiana. E’ questa la vera nuova mutazione genetica del Partito democratico. I Ds se ne sono accorti adesso, un po’ troppo in ritardo sui tempi. E masticano amaro. A cominciare dai giovani turchi. Ormai indissolubilmente legati al premier segretario Matteo Renzi ma sempre meno influenti politicamente.

 

In Liguria, con il ministro della Giustizia Andrea Orlando hanno sostenuto Sergio Cofferati. Ed è finita come è finita. A livello nazionale Matteo Orfini, seppure con grande discrezione, caldeggiava la candidatura di Giuliano Amato. Anche a lui è andata male. La prossima manche riguarda la legge elettorale. Ma anche lì non ci saranno grandi sorprese: “Quella legge non si tocca”, ha annunciato il presidente del Consiglio, tanto per mandare un segnale a Pier Luigi Bersani che sperava ancora di reintrodurre le preferenze dopo l’intesa sull’elezione del presidente della Repubblica. La Ditta intesa come si intendeva una volta è ormai un termine desueto. E gli ex ds prima o poi dovranno farsene una ragione.

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